Pasqua di Risurrezione, punto di non ritorno.

-Suor Chiara Papaleo-

 

Introduzione

“Non si può vivere senza amore.”
Non è una frase trovata nei Baci Perugina.
Sono le ultime parole di Nicola (nome di fantasia), 19 anni, morto suicida il mese scorso. E sono le ultime parole che Nicola ha inviato via mail a sua madre e suo padre. Ha scritto la mail e ne ha programmato l’invio posticipato per assicurarsi che sarebbe arrivata solo dopo la sua morte.
Ecco. Parlare di Pasqua, questa sera, è parlare di questo. Se la Pasqua è un punto di non ritorno, è perché Nicola aveva ragione: non si può vivere senza amore.

 

1 – Principio di vita nuova: esisto non per caso, sono amato, amo.

“Non si può vivere senza amore”
È forse la sintesi della verità più profonda di ciascuno di noi. Siamo talmente abituati a vanificare il concetto di amore, che quasi non ci tocca più, pur sapendo che invece è il principio e il fondamento di ogni vita.

Per quel poco che ho capito in questi anni posso solo dirti che l’Amore è il centro della nostra vita, perché nasciamo da un atto d’amore, viviamo per amare e per essere amati, e moriamo per conoscere l’amore vero di Dio. Lo scopo della nostra vita è amare ed essere sempre pronti ad imparare ad amare gli altri come solo Dio può insegnarti. 

(Lettera della Serva di Dio Chiara Corbella a suo figlio Francesco)

Permettetemi una digressione, abbiate pazienza.

Negli ultimi 100 anni la psicologia e le neuroscienze confermano quello che il Vangelo ci ha detto da 2000 anni, ovvero che, per vivere, abbiamo bisogno di essere amati e di amare.
In una situazione di sviluppo ideale, dovrebbe accadere che fino ai 14 anni circa il bisogno di essere amato sia più forte di quello di amare; crescendo, poi, dovrebbe accadere che il bisogno di amare, cioè di restituire l’amore ricevuto, superi quello di essere amato.

Spoiler: raramente accade così. Ognuno di noi si porta dietro il suo bottino di traumi più o meno sostanzioso e lottiamo tutta la vita per nutrire questi due bisogni.

Bene, potremmo dire, se finalmente anche la psicologia ha capito questo, possiamo anche fare a meno del Vangelo e di Gesù. Peccato che, se non lasciamo che sia Lui con la sua Pasqua (passione, morte e risurrezione) a sanare e colmare il nostro famelico bisogno di amore, noi rischiamo due derive:

  1. O mi credo un albero: e quindi sono convinta di essere un organismo autotrofo (reminiscenze della terza elementare, ricordate? Esseri viventi autotrofi ed eterotrofi…) e quindi, come gli alberi, anche io sono in grado di fare una sorta di fotosintesi clorofilliana, tale per cui mi produco da me il nutrimento di cui ho bisogno (e attenzione: è tutto un certo filone di mindfulness e simili che va molto di moda oggi)
  2. Oppure, non importa che tipo di relazione sia, ma mi ritrovo a chiedere all’altro di amarmi in maniera assoluta, e io pretendo a mia volta di amarlo in maniera assoluta. Traduciamo? Chiedo all’altro di diventare il mio dio e io il suo dio. Peccato che questo non abbia niente a che fare con l’amore, San Francesco ce lo ha insegnato bene: il contrario dell’amore non è l’odio, è il possesso. E, alè, che nascono tutta una serie di dipendenze di cui i manuali ancora non si sono stancati di scrivere.

Nulla di più pericoloso: solo Dio può amarmi da dio. Solo Dio conosce il mio cuore da Dio. Solo Dio può farsi carico delle mie ferite, da Dio. Nessun altro. E io non sono Dio e non posso e non devo farmi carico dell’altro in un modo che posso sostenere.1
Insomma, ci struggiamo dalla nostalgia di essere amati e di amare, ma pretendiamo di risolvercela da soli (sì, perché sia chiaro: se tolgo Dio Padre dal suo posto di Dio, metterò qualcun altro o qualcos’altro al suo posto!).

Tu sei la perla preziosa

Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose: trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. (Mt 13, 45-46)

Leggendo queste parole, forse abbiamo sempre pensato di essere noi i mercanti che trovano Gesù, la perla preziosa, e perciò chiamati a lasciare tutto, per lui.
La verità è che, prima di tutto, noi siamo quella perla preziosa. Il mercante è Cristo, disposto a vendere tutto, a perdere tutto, a pagare qualsiasi prezzo pur di stare con noi, pur di conquistare il nostro cuore, pur di riportarlo a libertà.

“Dio non può fare a meno di amarti! Credilo! Non può. In questo consiste la sua “debolezza”; la debolezza dell’Onnipotente, che deve amarti. E credilo.”

(Card. Wyszynski)

 La croce può toglierci ogni dubbio in merito a questo: Solo un Dio sale sul legno ed entra nella morte perché là va ogni suo amato. Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie ogni dubbio. Qualunque uomo, se potesse, qualunque potente, se ne avesse la forza, scenderebbe dalla sua croce. Solo un Dio non scende dal legno.2

“Ciò che ci fa credere è la croce”, diceva Pascal, ma ciò in cui crediamo è la VITTORIA della croce.

 

 

2. Principio di filiazione divina: riscatto della mia esistenza.

Tu sei la gioia di Dio. 

A Pasqua siamo diventati figli. Sì, perché Gesù ha trascorso tutta la sua vita terrena con l’unico intento di raccontarci il volto del Padre. Qual è questo volto?

“Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.” (Lc 15, 20)

È così che il Padre ama. Questo è il volto del Padre. Questo è il padre che riaccoglie suo figlio, quel figlio che si era ritrovato ad avere gli stessi desideri dei porci.

Nella passione, morte e resurrezione di Gesù questo è quello che traspare dai suoi gesti: Tu sei l’amore della mia vita.
Lui è vivo e io, tu, siamo l’amore per cui vuole vivere! La ragione della sua vita siamo noi, la ragione della sua resurrezione siamo noi!

Capite, la resurrezione non è un fatto bello, accaduto, e che per fortuna riguarda anche noi. No! Noi siamo IL motivo della Risurrezione, la ragione della risurrezione. Se è vero che Gesù è morto per noi (e questo ce l’hanno detto da sempre), e ancor più vero che è risorto per noi!
Gesù è venuto a dirci: Che tu ci creda o no, che ti piaccia o no, tu assomigli a tuo Padre. Che tu ci creda o no, Dio si specchia in te, tu sei la sua gioia, tu sei la gioia di tuo Padre.

E ricorda che, per quanto ti possa impegnare, per quanto tu possa aver fatto cose vergognose, per quanto tu ti senta lontano, tu non sei tanto onnipotente da eliminare l’immagine di Dio impressa in te.3

E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!
Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di D
io. (Gal 4,6)

San Paolo stesso ci dice che c’è poco da disquisire: sei salvo perché sei figlio di Dio. Assomigli a Dio.
Però parla anche di una eredità. Certo, come ogni figlio, se è tale, è anche erede. E qual è la nostra eredità? La santità.4

Tante volte vi sarete sentiti dire che la vocazione di un cristiano è la santità, è vivere le beatitudini.

Ma cosa vuol dire vivere da santi? Cosa vuol dire, una volta per tutte, diventare santi? “Santo”, secondo la concezione ebraica è il “completamente separato dal male”. E il male è semplicemente tutto ciò che non è Dio. Santificare, allora vuol dire separarci dall’idolatria (si possono raggruppare in quattro macrocategorie, perché il maligno non è creativo: violenza, denaro, sesso, io). Vivere da santi significa rifiutare in ogni modo ogni dio che non sia Dio Padre, il Dio di Gesù Cristo (quello che dicevamo sopra a proposito dell’amore).

Un santo non è uno senza difetti, lo sappiamo. Un santo è uno che non smette di cercare Dio, di tornare a Dio, di ricominciare da Dio. Un santo è ogni figlio che ha avuto gli stessi desideri dei porci e ha avuto il coraggio di tornare dal padre. Questo ci salva. Questo essere figli ci salva.

Perché siamo eredi? Perché siamo figli, e questa eredità che è la santità ci è stata donata il giorno del Battesimo. A noi tocca solo permettere a Dio di operare in noi.
È possibile davvero? Sì, perché Cristo è morto ed è risorto. Morendo, ci ha liberato dal peccato (attenzione, ci ha LIBERATO, non significa che il male non esiste, significa che possiamo non esserne schiavi), risorgendo ci ha aperto le porte dell’eternità.

“Se Cristo non è risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione, e vana pure è la vostra fede” (1Cor 15, 14)

 La santità non è uno sforzo stoico, titanico, la santità è una questione di resa alla grazia, non primariamente di resistenza al male.
Ambizioso? No! Significa non accontentarsi, significa vivere una vita all’altezza della nostra chiamata.
Il maligno ti dice: “Chi ti credi di essere?!” la fede ti dice: “Tu sei la gioia di Dio”.

 

3. Fondamento della resurrezione corporea degli uomini: valorizzazione di tutto ciò che sono e che mi appartiene.

Studi sociologici sulla fede dei cattolici italiani condotti fino al 2017 dichiarano che, se la maggior parte della popolazione crede in Dio, neanche il 50% crede che Gesù sia risorto e meno del 20% crede nella resurrezione della carne.5
La fede nella resurrezione della carne è il cuore della fede cristiana, perché indissolubilmente legata alla fede nella resurrezione di Gesù Cristo.
Prima ho letto San Paolo a proposito di risurrezione, pochi versetti dopo continua così:

Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. (1Cor 15, 19)

Per dirci qualcosa in più sulla resurrezione della carne, che beatamente proclamiamo durante il credo, proviamo ad addentrarci un attimo nella risurrezione di Gesù. Proviamo a capire come si sono sentiti i discepoli quando hanno incontrato Gesù risorto. Noi credenti sappiamo che la risurrezione è un evento che ci trascende per quanto riguarda la comprensione razionale e intellettiva, ma sappiamo tuttavia che è un evento che si colloca in una storia, in un tempo preciso, in un luogo preciso.

Anche leggendo i Vangeli, facciamo fatica a capire come sia successo realmente. Come sia accaduto. Prendiamo i due di Emmaus: ci hanno camminato insieme per 11km, possibile che non si cono accorti che fosse lui? E poi? È bastato un gesto, uno solo, ad aprire loro gli occhi e a far loro riconoscere di aver avuto i cuori incendiati. Non riusciamo a capire perché i discepoli non l’hanno riconosciuto, se era proprio lui.
Aveva un altro aspetto? La voce era la stessa o no?

Forse è andata più o meno così: When Adele wasnt’t Adele

Dev’essere andata più o meno così! Era lei, leggermente diversa, eppure non l’hanno riconosciuta anche se ci sono stati insieme tutto il pomeriggio. Inizia a cantare. La voce è la sua, inconfondibile.
E ancora più inconfondibile è quel gesto che solo Adele fa ai concerti (e le sue fan lo sanno bene): togliersi le scarpe.

Così Gesù: quei gesti, inconfondibili, suoi, erano la sua firma: prende il pane, lo benedice, lo spezza e lo dà. Non era un’imitazione. Era lui.

Ora, sapete perché facciamo fatica a credere nella resurrezione di Cristo?
Perché non crediamo nella nostra.

Noi, in fondo, non crediamo di essere realmente così amabili fino in fondo, in ogni parte di noi, in ogni anfratto buio della nostra umanità. Invece la risurrezione di cristo tocca la nostra vita e la fa risorgere quando lo lasciamo entrare per quelle ferite lì. A volte ci lamentiamo e addossiamo alla fede cristiana la colpa di tanti moralismi. La verità è che i veri moralisti di noi stessi siamo noi. Pensiamo, in fondo, che noi così per quello che siamo, non siamo accettabili. Siamo noi a dire a noi stessi che non andiamo bene così, che per essere amabili dovremmo obbedire ad aspettative di un certo tipo.

Ora, qui la sfida è una e una sola: fare verità dentro di noi, sulla nostra storia e sulla nostra umanità. Ma fino in fondo, però. Non basta dire: “Eh, io sono così perché mi è successo questo”. Embè? E cosa te ne fai?
E ti sei chiesto come Dio vuole entrare in quella pagina della tua storia? E ti sei chiesto se per caso in quella pagina ferita ci sia scritta la tua vocazione più vera?

Ci sono pagine della nostra storia che noi vorremmo buttare via, che passiamo l’esistenza a nascondere, e invece la novità della risurrezione è che niente di te è da buttare. Che quelle ferite non vanno eliminate. Vanno trasfigurate.

Ma qualcuno ti ha mai guardato negli occhi e ti ha detto: ti amo così come sei? La resurrezione, scusate, è quel padre che corre incontro al figlio e lo bacia e piange. Quel figlio che si è trovato così in basso da invidiare la vita dei maiali. Quel padre lì è la risurrezione.

Questa è un’esperienza da fare qui. Adesso. Su questa terra. Il problema non è tanto neppure chiedersi: Ma io ho incontrato o meno Cristo? …la domanda vera è: Ma (se l’ho incontrato) da che cosa mi ha salvato Cristo? Perché, o conosco da quale destino buio e vuoto Gesù Cristo mi ha tratto in salvo, o non me ne faccio niente di lui.

Noi, di un dio che esiste non ce ne facciamo nulla. Noi abbiamo bisogno di un Dio che ci ama. Che ama me. Che ama i vuoti della mia storia. Che ama le vergogne della mia storia.

Allora, fatta questa esperienza, non sarà più un problema credere che siamo fatti per l’eternità, e che il destino di eternità che ci aspetta non è fatto solo di alucce e cuoricini, ma è fatto di corpi, risanati nella loro dignità, di ferite che non ci fanno più vergognare, ma che diventano memoria dell’amore che ci ha fatto vivere.

Perché è vero: non si può vivere senza amore.

Non si può vivere senza l’amore di Cristo.

Sr Chiara Papaleo FMA

 

 

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1 Messe in ordine, queste quattro idee, relative all’esperienza d’amore, sfociano in un’unica convinzione: ovvero, nell’assunto che questa religione dell’assoluto dell’innamoramento dovrebbe essere accolta un po’ più pensosamente. Essa rivendica la più generale persuasione che sia possibile amare con tutto se stessi e quindi totalmente – per dirla col testo biblico: «con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze>> – non soltanto Dio, ma nella stessa misura l’altro: il padre e la madre, il figlio e la figlia, la moglie e il marito; e ancora, se ciò non bastasse, il fratello e la sorella, il partito e la squadra del cuore. Per arrivare però un giorno a scoprire che se di tutta questa figura ossessiva dell’ideale d’amore, se di tutto questo principio erotico dell’affetto che pretende «amare ciecamente, non si custodisce l’indispensabile mediazione e l’inviolabile trascendenza (vale a dire, il principio per cui solo Dio va amato con tutta l’anima e con tutte le forze), il rischio è che l’impeto si traduca in un baratro, pieno zeppo di vergognosa intransigenza. Se diventa tout court la sola fonte e l’unico lógos del nostro affetto, l’amore cieco non ci darà scampo: ogni volta che l’altro finirà per deluderci, mostrandosi non all’altezza o anche appena al di sotto delle attese del nostro páthos; ogni volta che il nostro io si sentirà ferito o, magari, tradito in rapporto all’assoluto del suo investimento, sarà in un amen la fine del mondo. E saremo pronti a tutto, come se nemmeno ci fossimo sfiorati e amati: pronti a sprigionare una foga e un risentimento almeno pari all’assurda esaltazione delle nostre aspettative sull’altro. Di qui, la vera provocazione di Gesù. Quando desideri amare, per davvero, quando desideri il bene, tu non prendere mai il posto di Dio. E non atteggiarti quasi fossi il creatore e il salvatore dell’altro! Solo Dio conosce tanto a fondo la storia di un’anima e soltanto lui è capace di sostenerla, spingendosi fino alla fine. Pertanto, non chiedere nemmeno all’altro di divenire una risposta assoluta al tuo bisogno di affetto. È troppo! Concedigli piuttosto il beneficio del tuo pudore e della tua pazienza, della tua tenacia e della tua disposizione al perdono. Insomma, prova ad amarlo come te stesso: conscio che, come tutte le creature che non sono Dio, si porta con sé le minime virtù e le immense contraddizioni che sono tue; per poi assicurare, eventualmente, ad un terzo, che sta fra voi due (a Lui, crocifisso-risorto e asceso alla destra del Padre), la stabilità di ogni nostra più sincera promessa! (Cornati D., Ma più grande è l’amore. Verità e giustizia di agape, pp. 17-18)

2 crf. Omelia Domenica delle Palme 2012, padre Ermes Ronchi

3 “Io sono nato da te, Signore. E ritrovo in me il meglio di te. […] Quale padre non è fiero della somiglianza del figlio? Tu, Padre, non potrai rinnegarmi mai. Io non sono tanto onnipotente da eliminare la tua immagine in me”. (Card. Wyszynski)

4 Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la VI Giornata Mondiale della Gioventù, 1991 «Giovani, non abbiate paura di essere santi! Volate ad alta quota, siate tra coloro che mirano a mete degne dei figli di Dio. Glorificate Dio con la vostra vita!»

5 Cfr. https://www.cnosfap.it/sites/default/files/articoli_rassegna/religiosita_italiani_320.pdf