Ucraina: un anno di guerra

– Anna Spena –

 

Ihor Boyko è il rettore del seminario greco – cattolico di Leopoli, struttura diventata centro di accoglienza per gli sfollati interni. Ora lui passa le giornate a raccogliere e distribuire gli aiuti nelle città dell’Est del suo Paese. «Grazie a tutti gli italiani che ci supportano», dice. «Le facce dei volontari arrivati qui sono state la nostra speranza»

 

+380 67 88X XX XX. Il telefono di Ihor Boyko squilla a vuoto. Una, due, tre, quattro, cinque volte. Poi, due giorni dopo. «Ciao, eccomi», dice. «Sono stato sotto pressione per la raccolta dei beni da mandare ad Est. Non abbiamo avuto elettricità e accesso a Internet. Ma resistiamo, resistiamo finché sarà necessario». Ihor Boyko è il rettore del seminario greco – cattolico di Lviv. Lo ripete spesso, lo sottolinea, se lo ricorda e ce lo ricorda: «resistiamo». Tra tanti impegni sa quanto è importante far sapere quello che accade e tener desta la coscienza del resto d’Europa. Lviv è la città più grande e popolata nell’Ucraina dell’Ovest, dopo l’inizio dell’invasione russa lo scorso 24 febbraio è diventata un vero hub umanitario. 700mila abitanti che in pochissimi giorni hanno superato il milione. Una città che si è allargata per fare spazio agli altri ucraini che scappavano dell’Est del Paese e all’inizio anche da Kiev. Il seminario di padre Ihor si è trasformato in un centro di accoglienza per gli sfollati interni. Dopo un anno di conflitto Ihor ha una paura:

«Abbiamo visto troppa morte, troppa distruzione. Chiedo spesso al Signore di aiutarmi a non riempire il mio cuore con l’odio. La guerra deve finire, ma con una pace giusta. Non cederemo territori. Non importa quale lingua parliamo, se ucraino o russo, siamo una solo patria, siamo un popolo infrangibile».

Il numero di VITA ora in edicola “Occupy Ucraina” è la storia di una straordinaria mobilitazione umanitaria nata per supportare il Paese.

 

Padre Ihor, è passato un anno dall’inizio della guerra, come sta?

Noi resistiamo, resisteremo finché sarà necessario. La cosa che mi dispiace molto è che Putin e l’esercito russo non riescono a capire che siamo un popolo veramente forte, forte. Siamo uniti, siamo un popolo infrangibile. Ma lui comunque continua a distruggere le nostre città, distruggere edifici dove abita la gente civile, distruggere ospedali, scuole, università, interi villaggi, uccidere tanta gente e uccidere la gente innocente. E questo fa molto male.

 

Vi sentite abbandonati?

No, abbiamo un grande sostegno e un grande aiuto dal mondo, dalla comunità europea, dall’Italia che ci aiuta in questo momento veramente difficile e ci sostiene. Nessuno si aspettava che questa guerra potesse durare così a lungo. Ma siamo sulla nostra terra. L’Ucraina è la nostra terra e la nostra patria, anche se a volte possiamo parlare diverse lingue. Qualcuno parla l’ucraino, qualcuno parla il russo: ma tutti abbiamo la stessa patria e questa patria è l’Ucraina. Non vogliamo cedere a Putin nessun metro del nostro territorio: né in Donbass, né la Crimea, né in altri posti, perché questa è casa nostra e nessuno può venire a prenderci e metterci in ginocchio. Quindi noi proteggiamo la nostra terra, noi combattiamo, noi aiutiamo le persone che sono sfollate, che hanno dovuto abbandonare le loro case.Anche nel nostro seminario a Leopoli abbiamo accolto più di 200 persone durante i primi mesi di guerra. Sono rimaste da noi sei persone che non sanno più dove tornare perché i russi hanno distrutto la loro casa e occupato la loro città.

 

Come funziona la macchina degli aiuti?

Riceviamo gli aiuti o a volte ce li portano direttamente i volontari qui a Leopoli. E poi li portiamo nelle città sotto assedio o dove c’è più bisogno. Andiamo a Kherson, a Kharkiv, nelle regioni di Donetsk e Lugansk. A Kharkiv, per esempio, ci sono due nostre chiese. E ogni giovedì 1500 persone ci vanno per ritirare cibo per i bambini, cibo per gli adulti, il riso, la pasta, i pomodori, altri beni, la carne in scatola, il tonno. vestiti caldi, coperte, soprattutto adesso maglie termiche e medicinali.

 

Qual è stata la cosa più dolorosa in questi 12 mesi?

Vedere la gente che muore. Quasi ogni giorno celebriamo una messa per qualcuno che è morto al fronte. La guerra porta alla morte, alla distruzione, ma porta anche all’odio. Ogni giorno chiedo al Signore di aiutarmi a non riempire il mio cuore con l’odio, perché se il mio cuore si riempie d’odio io ho perso tutto.

 

Che desiderate?

Che tutto possa finire, ma con una pace giusta. E la pace giusta vuol dire che, prima di tutto, i russi devono smettere di sparare. Devono ritirare le loro forze armate dal territorio ucraino. Devono ritirarsi e poi devono anche ristabilire tutto ciò che hanno rubato, devono risarcire il popolo ucraino per tutti i danni, devono prendersi la responsabilità. Tutti abbiamo bisogno di pace, il popolo ucraino soffre, ma anche tantissime famiglie in russia soffrono perché i loro familiari muoiono per una guerra ingiusta.

 

E l’immagine più bella di questi 12 mesi?

Le facce dei volontari, che arrivano dall’Italia e dagli altri Paesi. Vuol dire che c’è interesse per quello che succede qui. Vuol dire che non ci lasciate da soli.

 

 

Fonte: Vita