– di Angela Maiale –
L’EREDITA’ di UN GIUDICE
Maria Falcone con Laura Sirignano
STRADE BLU Mondadori
30 anni in nome di mio fratello Giovanni
Giovanni Falcone: siamo quasi a 31 anni dalla strage di Capaci. Maria Falcone continua instancabilmente la sua testimonianza nel ricordo della figura professionale e dell’impegno per l’affermazione della legalità da parte di suo fratello.
Chi conosce la posizione della sorella del giudice, chi ha letto quanto ha pubblicato in questi anni e chi ha seguito le sue conferenze nelle scuole sa che il suo impegno è centrato anche nel non far dimenticare, impresa ardua in un Paese con una memoria collettiva estremamente labile, gli eventi ed i personaggi che hanno sistematicamente remato contro Falcone per varie motivazioni: “corvi” in Procura a Palermo, colleghi invidiosi, politici spesso ostili per le più svariate motivazioni, anche in atteggiamento di palese vantaggio per la mafia con abrogazione di leggi o sistemazioni compiacenti, magistrati competitivi o invidiosi…
Si comprende facilmente che, anche per le sentenze passate in giudicato sulla strage di Capaci, ad uccidere il giudice è stata la mafia, ormai è acclarato; ma si comprende altrettanto facilmente che, puntualmente, chi è servitore dello Stato, nel senso più alto del termine, e si trova in prima linea in certe battaglie, viene spesso lasciato da solo dallo stesso Sistema che egli difende e che dovrebbe tutelarlo; non solo, spesso è proprio il Sistema a creare le condizioni perché questo servitore venga eliminato fisicamente.
La collaborazione, l’accordo tra le parti, la segretezza di certi passaggi durante la costruzione di un’indagine o l’istruzione di un processo sono fattori imprescindibili per una lotta alla mafia e alla criminalità seria; chi lavora su questo fronte deve potersi fidare delle parti coinvolte, e questo, nel caso di Falcone, ad un certo punto non è avvenuto: non solo per quanto riguarda la Procura stessa – Alberto Di Pisa – anche se assolto nel 1993 resta una figura fortemente ambigua che ha minato l’integrità degli uffici preposti a supportare i giudici del Pool; del resto la verità processuale, spesso, non corrisponde per niente alla verità oggettiva.
Maria Falcone, in questo libro, ancora più del solito, trasmette al lettore la sua urgenza comunicativa sull’importanza di non idealizzare, di non santificare suo fratello, solo perché vittima innocente, in una vuota retorica che si basa sull’obbligo morale della celebrazione dell’anniversario. E’ chiaro che la sua urgenza è quella di rendere consapevoli gli italiani che non deve essere un giudice o un poliziotto solo, contro i mulini a vento, a dover combattere la mafia; non è possibile lavorare da soli o isolati, né suo fratello ha mai avuto quell’intento, è stato costretto, negli ultimi anni ad aggirare alcuni passaggi perché le persone con cui avrebbe dovuto rapportarsi erano palesemente ostili o inaffidabili.
Maria Falcone vuole lasciare alla memoria collettiva una testimonianza anche della correttezza dell’uomo nel privato, la conoscenza di questa personalità ci arriva anche attraverso il racconto della vita fatto attraverso gli affetti.
E’ importante anche non dimenticare chi, coinvolto a vario titolo, avrebbe dovuto assumersi delle responsabilità nell’aver ostacolato il corso della giustizia e, per la memoria collettiva degli italiani è importante ricordare sempre il quadro dei tempi e le sue influenze nelle vicende che portarono alla strage di Capaci, a quella di via d’Amelio, Milano e Firenze.
Anche la Chiesa ed i suoi rappresentanti, dai parroci locali come padre Cosimo Scordato o Mario Frittitta -l’amico del boss Pietro Aglieri-, fino ad arrivare al teologo gesuita Bartolomeo Sorge, sono chiamati in causa da Maria Falcone, ognuno per il ruolo svolto in quegli anni: testimonianza e coraggio come il vescovo di Acerra, don Pino Puglisi, don Giuseppe Diana, don Nino Fasullo… per ognuno Maria Falcone ha parole chiare di ringraziamento e ricordo per l’impegno o ferma e determinata condanna per l’appoggio vigliacco ai criminali, spesso neanche nascosto; anche i vertici della Chiesa romana non sono esentati da critiche per aver, spesso, lasciato soli a combattere la mafia e a costruire una rete sociale di legalità i parroci di “frontiera”, o per aver chiuso un occhio su quei parroci in odore o palesato appoggio della illegalità.
Il silenzio di chi deve impegnarsi, in questi casi, non ha giustificazioni, ma ha di sicuro spiegazioni.
Un libro chiaro, sincero, diretto; non solo la ricostruzione della storia della lotta alla mafia compiuta da Falcone e dai suoi colleghi e collaboratori, ma anche il ritratto affettuoso di un fratello tanto amato la cui perdita è stata uno strappo dolorosissimo per la nazione quanto per la fedele sorella, custode della memoria privata e di quella collettiva.