Il cuore di don Bosco

Di suor Chiara

 

Alle porte della festa di don Bosco mettiamo a disposizione qualche “perla”, nonché qualche episodio narrato da chi ha vissuto con lui, che ci aiuterà sicuramente a conoscere un po’ di più il grande cuore del padre, maestro e amico dei giovani. Infatti, tante volte avremo letto e ascoltato molto su don Bosco, sulla sua spiritualità, sulla sua pedagogia, su quel tesoro inestimabile che è il Sistema Preventivo: in questi racconti commoventi possiamo toccare con mano fino a che punto arriva la capacità d’amare così come la intende don Bosco, qui possiamo capire la portata, il peso e le implicanze delle sue parole più conosciute: “La prima felicità di un fanciullo è sapersi amato”, oppure “Non basta che i giovani siano amati, bisogna che essi stessi sappiano di essere amati”. Infine, troveremo le radici di questo suo cuore amante: l’unione intima col cuore di Cristo, buon Pastore, che gli ha dato grazia e coraggio per dare la vita, fino all’ultimo respiro.

 

È STATO COSÌ CHE HO INCONTRATO MIO PADRE
Da una testimonianza di Giovanni Roda

«Mi trovavo – narrò – in una delle stradette attorno a Porta Palazzo in zona Molassi. Eravamo in parecchi, c’erano garzoni ingaggiati dai barbieri, dai cappellieri, dai cuoiai, dai sellai, dalle mercantesse, tutta gente che bisognava chiamare monsù e madama. Andavamo là ad aspettare lavoro, perché sui 12-13 anni eravamo maggiorenni e bisognava guadagnarsi il pane.
Porta Pila (oggi Piazza della Repubblica) era una zona strategica. […]
Beh! non era il posto migliore per un prete con tutto il chiasso di bancarelle, di ambulanti, di saltimbanchi e di giocatori che si faceva. Ma don Bosco conosceva un po’ tutti e quando era necessario non badava troppo alle convenienze. Io l’ho incontrato là, ed è stato così che ho incontrato mio padre.
Lo avevo già visto diverse volte. Sapevo come si chiamava, perché aveva agganciato certi miei compagni. Ma credo che non avesse mai visto me. Quando mi ha visto mi è venuto incontro tenendo in mano una nocciola e fissandomi negli occhi. Aveva quel sorriso furbo
e le tasche sempre piene di noccioline, mandorle, arachidi e altro. Andava a rifornirsi dai mercanti; poi girava tra banchi e saltimbanchi in cerca di merlotti.
È venuto da me ed ha schiacciato la nocciola così, con due dita, poi mi ha messo in bocca il gheriglio.
– Cosa fai qui?
– Eh, aspetto chi mi dà lavoro.
– Cosa sai fare?
– Un po’ di tutto. So imparare.
– Tuo padre e tua madre?
– Sono morti da tanto tempo.
Erano morti di colera subito dopo la mia nascita. Io ero nato nel 1842, il 27 ottobre. Quell’anno arrivò il colera e io ero rimasto solo. Mi aveva allevato una famiglia amica, un po’ parente alla lontana. Saputa la mia situazione, don Bosco rimase un poco sopra pensiero masticando e masticando, poi mi agganciò come lo avevo visto fare con altri.
– Non ti piacerebbe venire da me?
– A fare?
– A stare. Imparare qualcosa, un mestiere.
– Eh già che mi piacerebbe.
– Allora vieni, non è lontano.
Gli sono andato dietro come un cagnolino. Ricordo che faceva già abbastanza freddo, era a metà novembre 1854. Don Bosco abitava in un caseggiato, una specie di cascinale, con una chiesina bell’e nuova di fianco.
Arrivati al cancello, prima di attraversare un cortile, ha chiamato forte:
– Mamma, venite un po’ qui. Venite a vedere chi c’è.
Ha gridato proprio così, facendo festa come quando arriva un parente o un figlio. Poi ha chiamato Domenico. In quel preciso momento io ho conosciuto mamma Margherita e Domenico Savio, che aveva la mia stessa età e che era arrivato li tre o quattro settimane prima di me. Da quel momento l’Oratorio è diventato casa mia e don Bosco è diventato mio padre.

 

QUEGLI OCCHI PERFORAVANO IL CUORE
Da una testimonianza di Giovanni Roda

Un giorno, durante la ricreazione, mi sfuggì una brutta parola; mi diedi un colpo con la mano sulla bocca, ma era scappata. I compagni l’avevano sentita. Domenico [Savio] mi si avvicinò e mi disse: “Va’ subito da don Bosco, raccontagli la disgrazia che ti è capitata. È tanto buono; vedrai che aggiusterà tutto. Io intanto andrò a pregare per te”. Non feci il niffolo, andai difilato. Ma dove trovare don Bosco? Era in parlatorio attorniato da alcuni signori. Da maleducato m’intrufolai nel crocchio. Don Bosco, sorpreso, mi disse: “Vedi, sono tanto occupato, non potresti aspettare un momentino?”. Quelle persone credettero che avessi una commissione d’urgenza e si misero in disparte. Allora mi alzai in punta di piedi e dissi all’orecchio del buon padre: “Savio mi manda da Lei, ho detto una bestemmia”. Tremavo come una foglia. Don Bosco non mi sgridò, ma vidi sul suo volto disegnarsi una pena tanto profonda! Capii la gravità della mia colpa. Quegli occhi perforavano il cuore. “Non farlo più, caro figliuolo, non farlo mai più. È un’offesa di Dio, sai! Il Signore non ci benedirebbe. Va’ in chiesa e recita tante volte il Padre nostro”. Corsi dinanzi all’altare, recitai i Padre Nostro e scappai via di corsa, alleggerito come se mi avessero tolto un piombo dallo stomaco. Dimenticai il numero dei Padre Nostro; lo sguardo di Don Bosco, mai.

 

BONTÀ ERETTA A SISTEMA
Da una testimonianza sul chierico Viglietti, segretario di don Bosco

Don Bosco aveva un giovane chierico come segretario. La curiosità lo aveva spinto a leggere alcune lettere riservate di don Bosco; ne sentì il rimorso e lo disse a Don Bosco. Quale fu la reazione del Santo? “Mi strinse commosso al cuore, raccolse quante lettere aveva sul tavolo confidenziali o no, e mele diede tutte”. Questa «bontà eretta a sistema» andava diritta al cuore dei giovani e lasciava, nei più sensibili, tracce indelebili.

 

AMORE LIBERO E LIBERANTE
Dalle memorie biografiche

Giuseppe Buzzetti intuiva che l’antica vita patriarcale di famiglia sarebbe stata modificata dai regolamenti; vedeva a poco a poco passare in mano dei chierici la direzione della casa, le incombenze che prima erano affidate a lui. Malinconia e scoraggiamento lo decisero a partire. Si trovò un posto in Torino e andò a congedarsi da don Bosco. Con la solita schiettezza gli disse che ormai stava diventando l’ultima ruota del carro, che doveva obbedire a quelli che aveva visto arrivare bambini, a cui aveva insegnato a soffiarsi il naso. Manifestò la sua grande tristezza nel dover partire da quella casa che aveva visto venir su dai giorni della tettoia. Don Bosco non gli disse: “Mi lasci solo. Come farò senza di te?”. Non compianse se stesso. Pensò a lui, al suo amico più caro: “Hai già trovato un posto? Ti daranno una paga buona? Non hai denaro, e certamente te ne occorrerà per le prime spese”. Aprì i cassetti della scrivania: “Tu li conosci meglio di me questi cassetti. Prendi tutto quello che ti occorre, e se non basta dimmi ciò che hai bisogno e te lo procurerò. Non voglio, Giuseppe, che debba patire qualche privazione per me”. Poi lo guardò con quell’amore che solo lui aveva per i suoi ragazzi: “Ci siamo sempre voluti bene. E spero che non mi dimenticherai mai”. Allora Buzzetti scoppiò a piangere. Pianse a lungo, e disse: “No, non voglio lasciare don Bosco. Resterò sempre con lei”.

 

QUESTO AMORE FU IL PIÙ ARDENTE DESIDERIO DI TUTTA LA SUA VITA
Da una testimonianza del card. Cagliero e di don Paolo Albera, suo successore

Bisogna dire che don Bosco ci prediligeva in modo unico tutto suo: se ne provava il fascino irresistibile. Io mi sentivo come fatto prigioniero da una potenza affettiva che mi alimentava i pensieri, le parole e le azioni. Sentivo di essere amato in modo non mai provato prima, singolarmente, superiore a qualunque affetto. Tutto in Lui aveva una potenza di attrazione, operava sui nostri cuori giovanili a mo’ di calamita a cui non era possibile sottrarsi e, anche se l’avessimo potuto, non l’avremmo fatto per tutto l’oro del mondo, tanto si era felici. Egli ci attirava a sé per la pienezza dell’amore soprannaturale che gli divampava in cuore. L’amore divino gli traspariva dal volto, da tutta la persona, da tutte le parole che gli sgorgavano dal cuore quando parlava di Dio sul pulpito, in confessionale, nelle conferenze private e pubbliche e negli stessi colloqui familiari. Questo amore fu l’unica brama, l’unico sospiro, il più ardente desiderio di tutta la sua vita.

 

FINO AL MIO ULTIMO RESPIRO
Dalle parole di San Giovanni Bosco

Ho promesso a Dio che fino al mio ultimo respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani. Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo. Per voi sono anche disposto a dare la vita. Fate conto che quanto io sono, lo sono tutto per voi, giorno e notte, mattino e sera, in qualunque momento. Striscerei la lingua da Torino a Superga, se questo potesse servire a salvare anche una sola anima. In qualunque giorno, in qualunque ora fate pure capitale sopra di me, ma specialmente nelle cose dell’anima. Per parte mia vi do tutto me stesso: sarà cosa meschina, ma quando vi do tutto vuol dire che non riservo nulla per me. Per i giovani in difficoltà farò qualunque sacrificio, anche il mio sangue darei per salvarli.