La detective dei Santi

Di Nallayan Pancras

 

Intervista alla Dott.sa Lodovica Maria Zanet*
Perché la Chiesa possa dichiarare “santa” una persona è necessaria un’accurata e meticolosa inchiesta. Un lavoro da Sherlock Holmes.

 

Come nasce l’iniziativa di studiare la vita di una persona per poterla dichiarare santa?

Tutti noi abbiamo l’esperienza di avere incontrato nella vita persone di particolare valore, nelle quali il Vangelo prende luce e corpo.

Ecco: la Chiesa, madre e maestra, ha questa stessa attenzione verso quanti, in ogni parte del mondo, in ogni stato di vita, abbiano vissuto una vera vita cristiana e il cui ricordo sia rimasto vivo anche a distanza di anni.

Grazie alla constatazione di questa “esemplarità” diffusa in ampia e qualificata parte del popolo di Dio, guidato dai suoi pastori, la Chiesa attua allora una procedura particolare: quella appunto delle Cause di beatificazione e di canonizzazione.

Questa procedura è articolata a vari livelli. All’inizio si tratta soprattutto, in modo molto descrittivo, di ricostruire, recuperare i materiali e scrivere di un’esistenza senza però affrettare troppo il giudizio su di essa.

Possiamo pensare che queste Cause funzionino un po’ come il cuore: a due tempi, diastole e sistole. Ci sono i “tempi numero uno”, le “diastole”, con i quali si acquisiscono le prove sulle virtù, sul martirio, sul dono della vita o sul miracolo. Queste prime fasi si chiamano inchieste diocesane e si svolgono là ove un Servo di Dio è morto o ha trascorso comunque una parte significativa della propria esistenza e si trovano pertanto le prove, i materiali. I “tempi numero due”, le “sistole”, intervengono in fase romana e servono allo studio delle prove e alla dimostrazione delle virtù, del martirio ecc. a partire da esse.

 

E quando è una Famiglia religiosa, come i Salesiani, chi pensa ai santi?

Le inchieste iniziano sempre in diocesi: una Causa è anzitutto obbedienza alla Chiesa, anche nella sua articolazione sul territorio. Questo però non impedisce che sia una Famiglia religiosa (o una Società di Vita Apostolica, o un Istituto secolare, o una Associazione pubblica di fedeli ecc.) a interessarsi a una Causa, a chiedere alla Chiesa di accompagnarla, a lavorare ad essa e a promuoverla attraverso iniziative di carattere anche pastorale, per il tramite di una “Postulazione”.

La “fase due” ha invece come referente non il Vescovo diocesano, ma la Congregazione delle Cause dei Santi a Roma. È in questa fase romana che si elabora un documento molto ampio e articolato, di svariate centinaia di pagine: la Positio. Un vero “affondo” nella vita di un Servo di Dio e nel contesto della sua testimonianza. Di livello in livello si procede, sino a bussare alla “porta” del Papa, l’unico e supremo giudice nelle Cause dei santi.

 

Ci sono quindi dei gradini da salire.

All’inizio, una persona nata al Cielo avendo lasciato il ricordo di una vita davvero evangelica viene detta Servo/a di Dio. Quando è dato riscontro positivo alle sue virtù, o al martirio, o al dono della vita, il Servo di Dio diventa “Venerabile Servo/a di Dio” (ma il martire procede poi subito verso la beatificazione): “venerabile”, anche terminologicamente, dice una condizione di possibilità, precisa che ci sono le “carte in regola”. Poi servono i miracoli, necessari al martire per essere dichiarato santo e ai non martiri sia per la beatificazione sia per la canonizzazione: un miracolo dunque per la beatificazione; un altro miracolo, avvenuto dopo la beatificazione o almeno dopo l’autorizzazione a promulgare il relativo decreto, per la canonizzazione. I passaggi sono tanti. L’essenziale è che si tratta di un vero discernimento. I tempi, di norma, sono lunghi. Il lavoro intensissimo.

 

Ma quando si può cominciare a parlarne nella Comunità cristiana e quando si può pregarlo pubblicamente?

Servo di Dio è un nome, un titolo che a noi piace molto perché dice qualcosa di bellissimo: l’avere davvero servito Dio, insomma il cuore della perfezione evangelica. In realtà, dal punto di vista giuridico segnala ‘solo’ che la Chiesa sta indagando su una persona. Servi di Dio e Venerabili possono certo essere pregati: anzi, è opportuno che siano sempre meglio conosciuti perché una Causa dovrebbe servire a dare gloria a Dio e ad aiutare chi è ancora in cammino verso la patria del Cielo. Questo però in forma personale, oppure in gruppo ma in modo semplice, spontaneo o con la preghiera autorizzata o con la Novena, sempre autorizzata. Il culto pubblico – cioè la Messa, l’Ufficio (come “proprio” del Breviario) e altri atti particolari e ufficiali – si hanno invece: per il beato a livello locale (sua diocesi di appartenenza, suo ordine religioso…); per il santo a livello universale, in tutta la Chiesa.

 

Nel caso di Mamma Margherita, la mamma di don Bosco, morta nel 1856 come si fa a raccogliere le prove della sua vita?

Mamma Margherita è Venerabile: la qualità alta della sua vita cristiana è già stata riconosciuta. Adesso c’è la sfida di miracoli ottenuti per sua intercessione. In tal caso, la Postulazione potrebbe riprendere a lavorare per accompagnarne la valutazione e il riconoscimento. Una Causa vive del resto se è sostenuta da un movimento di preghiera, e alla preghiera dovrebbe educare.

Un aiuto per Mamma Margherita? Animare la preghiera e incoraggiare l’affidamento a lei, in tutto il mondo salesiano, anche nelle missioni: sperando fermamente in quella “grazia più forte” che possa essere riconosciuta quale miracolo. Mamma Margherita è una figura tanto bella e attuale: oggi soprattutto la famiglia è messa alla prova e deve riscoprire la fede, ma Mamma Margherita parla anche ai consacrati o a chi per un più grande amore si dedichi agli altri, perché nell’ultima parte della sua vita ha cresciuto con tanta attenzione figli non suoi.

 

Il Papa parla del “santo della porta accanto”. Qual è la “sostanza” della vera santità?

Santità della porta accanto è un’espressione di grande impatto. Ci aiuta inoltre a non equivocare la serietà di un cammino di fede con la ricerca di segni straor­dinari, cui aggrapparsi come alle conferme di cui si ha bisogno, come un pretendere di poter sempre “vedere” e “toccare” e “sentire”. Le cose vere sono anzitutto poco appariscenti.

Nelle Cause – prendiamo l’esempio più semplice, quello delle virtù eroiche – prima di arrivare anche solo a poter parlare di miracolo si guarda alla vita quotidiana di un Servo di Dio, ai suoi atteggiamenti abituali, alle sue scelte e soprattutto alla sua umiltà e all’esercizio della carità anche in situazioni difficili (mi verrebbe da dire: anche nelle situazioni in cui non si può fingere né improvvisare!). Questo è il cammino che la Chiesa esorta a fare, ma è anche il cammino che i santi per primi hanno percorso: partire dall’ordinarietà quotidiana, averla a cuore. Non è un santo vero chi tramite gesti spettacolari voglia attirare l’attenzione su di sé. Il vero santo invece si ritiene sempre piccolo e peccatore, e il senso stesso della sua vita è portare gli altri a guardare a Dio.

 

Come si fa a dire che una vita è stata vissuta in grado eroico, cioè in grado molto alto?

Per capirlo può aiutare considerare una serie di requisiti. Possiamo provare a elencarli in modo analitico, con una premessa però: la nostra vita non è analitica, è sintetica, è un’unità. Quindi l’elenco richiama l’attenzione su alcuni aspetti che in realtà sono intrecciati. Facciamo un esempio. È eroica una virtù (la nostra carità, la nostra obbedienza, la nostra povertà…) se è esercitata: sempre, in fretta, con prontezza, con gioia, anche in situazioni difficili. Inoltre: in modo superiore a come agirebbe una persona – attenzione! – buona e giusta nelle medesime condizioni (la santità canonizzata è il 10 e lode rispetto all’8, non il 6 rispetto al 3…). Poi ancora se è esercitata con finalità soprannaturale, per amore di Dio. Qualche altro esempio: umile… anche nelle umiliazioni. Obbediente… anche quando non mi va, con il cuore lieto, in pace, fidandomi. Volendo il bene… anche di un nemico. Povero… non solo cedendo beni superflui, ma aprendomi alla condivisione sincera, facendo comunione. Sono esempi che dischiudono piste di riflessione e aiutano a guardare in modo diverso l’umano.

 

Per essere santi bisogna essere stati sempre felici?

La gioia fiorisce come frutto dello Spirito. La Chiesa non cerca il rigore di una persona troppo severa con se stessa, rigida: ma uno slancio nel bene che profuma di Vangelo e in definitiva è dono di Dio. L’altro aspetto – che penso sia tanto importante per i giovani d’oggi – è che la Chiesa, persino nelle Cause di canonizzazione, non richiede di essere stati eroici per tutta la vita: guarda invece all’ultimo periodo. Diciamo agli ultimi 10 anni circa, che saranno poi di meno nel caso dei giovanissimi, di più per i santi anziani. Importante è il cammino che hai fatto, come sei cresciuto, le crisi che hai attraversato e la fiducia con cui le hai superate. Nella storia della santità c’è spazio per i grandi convertiti, per chi ha scoperto tardi il Signore. C’è spazio persino per chi ha voluto combatterlo, prima di incontrarlo davvero. L’importante è che a partire da un determinato momento la vita abbia svoltato con impegno sino a diventare icona del Vangelo, testimonianza di carità.

 

Però potrebbero esserci dei momenti di debolezza anche in queste persone che sono eroiche. Il cogliere anche dei lati di debolezza, può fermare la Causa?
Quale gravità potrebbe fermarla?

Prima parlavamo della Positio, questa corposa dimostrazione che viene consegnata in Vaticano. La si scrive attenendosi a un ordine rigoroso di argomenti e non manca una parte che può essere dedicata a eventuali difetti del Servo di Dio. Tutto è significativo ed eventuali elementi contrari vanno sempre messi in evidenza. È tra queste pieghe spesso problematiche che può farsi strada l’incontro con Dio: nessuna vita va semplificata a tavolino. Anche i grandi santi hanno avuto fatiche o fragilità. L’essenziale è che non si radichino per sempre “strutture di peccato” e, come dicevo, che a partire da un certo momento si possa parlare di un convincente cammino di bene, di un frutto duraturo attraverso il quale passa vita per altri. Del resto, quando la vita “svolta” davvero, il primo ad accorgersene è proprio il nostro prossimo!

 

*Lodovica Maria Zanet
Dottore di ricerca in Filosofia, ha insegnato alla Cattolica di Milano, alla Pontificia Università Salesiana (sezione Torinese della “Crocetta”) ed è attualmente in carica presso il Triennio Filosofico-Pedagogico di Nave (Brescia, sempre affiliato all’UPS). Ha conseguito nel 2014 il Diploma rilasciato dallo Studium della Congregazione delle Cause dei santi e collabora dal 2011 con la Postulazione Generale della Famiglia Salesiana.
Ha pubblicato, tra l’altro: La santità dimostrabile. Antropologia e prassi della canonizzazione (EDB, 2016) e Martirio. Scandalo, profezia, comunione (EDB, 2017). Su figure salesiane: Oltre il fiume, verso la salvezza. Titus Zeman martire per le vocazioni (Elledici, 2017).

 

Fonte: bollettinosalesiano