Di Paola Belletti
Fiocchi rosa e azzurri su cronaca nera
Ogni anno in Italia sono circa 400 i bambini che nascono con “parto in anonimato”, o nati in ospedale o partoriti altrove e lasciati in una delle circa cinquanta culle per la vita diffuse sul territorio nazionale.
Come riferisce l’associazione Amici dei Bambini sono però duemila e 600 i bambini rifiutati alla nascita che non sempre sopravvivono a forme di abbandono molto più precipitose e drammatiche.
La cronaca non manca mai di offrircene promemoria.
Non è possibile restare indifferenti a questo dramma che spesso, non sempre, si consuma in situazioni di solitudine e abbandono che, prima di abbattersi sul figlio, hanno oppresso la madre.
Molto, dunque, resta ancora da fare. L’optimum sarebbe che ogni donna incinta potesse vivere il più serenamente possibile la propria maternità.
Dalla sua prima segreta scintilla – con il concepimento – all’incontro con il proprio figlio “dall’altro lato della pancia”. Dato però che le condizioni che portano una donna a disperare di potersi prendere cura di un figlio non ancora nato sono tante; e poiché già non intervenire a sopprimerlo (l’aborto è proposto come diritto ma è e resta la soppressione di un essere umano nella sua condizione di massima fragilità e dipendenza) prima del suo ingresso nel mondo è un atto di accoglienza della vita, conviene che come società si continui a fare il possibile perché questi bambini possano nascere e queste donne possano trovare sostengo.
Parto in anonimato, cosa prevede la legge
La legge che permette e tutela il parto in anonimato si pone dunque come argine, estremo, alla separazione mortale tra il figlio dalla madre. E’ la vera alternativa all’aborto, considerato in modo spesso tragicamente pacifico, come opzione sempre disponibile e addirittura preferibile all’abbandono, quello sì, sicuro.
Il neonato che non riceve cure e nutrimento in tempi rapidi si avvia quasi inevitabilmente alla morte, ma anche la donna che per nascondere il parto non riceve alcuna assistenza si espone a pericoli per la propria salute fisica, senza contare gli esiti psicologici.
I tempi per la mamma e per il figlio
La norma che consente alla madre di partorire in sicurezza e di non riconoscere il bambino è il un Decreto del Presidente della Repubblica n.396 del 2000, articolo 30.
Il DPR consente alla madre di non riconoscere il figlio e di lasciarlo nell’ospedale in cui è nato. Data l’importanza di una tale decisione, alla mamma è lasciato un lasso di tempo di due mesi per ripensarci. Passato tale termine non avrà più notizie del bambino.
Nell’atto di nascita del bambino viene indicato “nato da donna che non consente di essere nominata”.
Fino al 2001 l’accesso alle informazioni sull’identità della madre, riportate nel certificato di assistenza al parto, era vincolato al decorso di un periodo di ben 100 anni dalla redazione del documento.
Questa forma di tutela, però, era totalmente sbilanciata verso i diritti della madre e non considerava ciò che ora viene invece preso in considerazione e in parte tutelato, ovvero il diritto all’identità personale del figlio.
Diritto dell’adottato
Nel 2001 è stato introdotto anche in Italia il diritto dell’adottato di accedere alle informazioni concernenti l’identità dei suoi genitori biologici, diritto generalmente riconosciuto al compimento dei venticinque anni di età.
Ai sensi della Legge 2001 n. 149, art. 24 comma 7 tale diritto non è consentito se l’adottato non è stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale:
“L’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo”.
E’ possibile però sottoporre alla madre, se ancora in vita, la domanda se intenda rendere disponibili le informazioni che la riguardano al figlio che ora le chiede.
Ciò che il parto in anonimato e l’accesso alle culle per la vita intendono proteggere è un diritto ancora precedente, ovvero quello alla vita; sono uno strumento normativo pensato per accogliere il nascituro e soccorrere la donna in gravidanza che si trova privata della naturale rete di sostegno che dovrebbe circondare una mamma.
Cosa può fare una donna prossima al parto?
Inizia il travaglio, il parto è prossimo: la donna ha il diritto di rivolgersi a qualsiasi ospedale pubblico su tutto il territorio nazionale e di ricevere adeguata e rispettosa assistenza al parto.
La decisione di partorire restando anonima matura durante la gravidanza ed è per questo che è sempre più necessario informare e sensibilizzare per tempo le donne delle risorse a cui possono accedere e delle reali possibilità che spettano loro e al figlio.
Tale volontà si esprime e si concretizza una volta che il piccolo è nato: solo alla nascita infatti si parla di riconoscimento concesso o negato.
Sensibilizzare e informare
Tempestive e adeguate informazioni alla donna in gravidanza e interventi concreti in suo aiuto, di tipo sociale, economico e psicologico, permettono di garantire il diritto alla salute della gestante e del nascituro, un parto protetto nella struttura ospedaliera e la possibilità di esercitare una libera, cosciente e responsabile scelta da parte della donna, se riconoscere o meno il bambino.
La struttura ospedaliera in cui avviene il parto è tenuto a garantire a madre e bambino l’attuazione dei diritti di entrambi.
Certo, venire al mondo ed essere abbandonati non ha tanto l’aria di essere un diritto esercitato, poiché è innegabile che spezzare il legame che madre e figlio hanno intessuto per tutta la gravidanza va contro le più fondamentali esigenze dell’essere umano.
La vita, nondimeno, resta il valore in gioco che eccede per dimensioni e dignità tutti gli altri, preservando il quale ci permette di poter correre ai ripari su tutti gli altri fronti.
Per questo i bambini non riconosciuti alla nascita vengono dichiarati adottabili in tempi molto rapidi: la procedura del parto in anonimato è snella e fa sì che il piccolo venga dichiarato adottabile in poche settimane e che si trovi in braccio a mamma e papà adottivi in poco tempo.
E per questo il parto in anonimato è una possibilità di affidamento e non di abbandono del proprio figlio.
Le culle per la vita
Dove sono e come funzionano queste moderne “Ruote degli Esposti”?
Innanzitutto esistono anche altri luoghi nei quali è già possibile lasciare un bambino perché venga soccorso: le stazioni di polizie, le caserme dei pompieri, le chiese, i centri medici, le agenzie di adozione.
E’ inoltre possibile chiedere aiuto direttamente al 118 che può concordare altri punti sicuri nel territorio nel quale abbandonare il piccolo.
Lasciare un neonato perché si è impossibilitati a prendersene cura è dunque legale, se avviene nei modi e nei luoghi previsti.
Abbandono legale
Qualsiasi altra forma di abbandono è perseguibile legalmente ai sensi del Codice Penale (art 591 C.P. “Abbandono di persone minori o incapaci”). Condizione essenziale per la non perseguibilità legale è la non comprovata evidenza di abusi o di negligenza sul bambino.
Come funzionano le culle?
Una culla per la vita, è una vera e propria culla termica dove è possibile lasciare il neonato con la certezza che venga soccorso subito e la sicurezza di non essere riconosciute.
In tutta Italia sono circa 50 distribuite in tutto il paese: è possibile consultarne l’elenco a questo link.
E’ sufficiente avvicinarsi alla culla, premere il pulsante che aziona l’apertura e deporvi dentro il piccolo, per poi allontanarsi senza timore di essere seguite né riprese dalle telecamere.
Queste, infatti, rilevano solo la presenza del neonato all’interno del vano e, attraverso un sensore, segnalano la presenza del bambino al personale sanitario.
Oltre a garantire l’anonimato di chi vi lascia i neonati, la culla per la vita è dotata di una serie di dispositivi – riscaldamento, chiusura in sicurezza della botola, presidio di controllo 24 ore su 24 e rete con il servizio di soccorso medico – che permettono il pronto intervento per la salvaguardia del bambino.
L’importanza dell’informazione
Quanto più le donne saranno raggiunte dalle corrette informazioni sulla estrema ma nobile possibilità di affidare il proprio figlio ad altri, tanto più si farà per ridurre le morti dei neonati gettati o nascosti appena partoriti.
Dalla morte di una neonata, la prima culla per la vita della Puglia
Proprio una di loro ha spinto i Frati Minori di Monopoli in Puglia a realizzare una culla per la vita proprio nel loro convento: a febbraio 2017 una neonata fu trovata morta in spiaggia.
Fu Padre Miki Mangialardi a realizzare una “Culla per la Vita” collegata ad una App che a distanza di un anno dalla morte della piccola si è messa a vibrare: il bimbo che vi era stato deposto è stato salvato e adottato in tempi brevi.
Fonte: Aleteia