La preghiera è come un sasso lanciato in acqua

Di Andrea Zaghi

 

La necessità di “ricordare al mondo le ragioni della pace”. E poi ancora quelle dell’umanità, della difesa dei diritti, del bene comune.
Ad un mese dalla diffusione dall’Arsenale della pace di Torino della lettera-appello che Ernesto Olivero ha firmato insieme ai componenti della Fraternità del Sermig, i motivi per tornare su quel testo ci sono ancora tutti: la guerra Russia-Ucraina continua a seminare morti e dolori, il mondo sembra abbia quasi smarrito il senso del bene e del male, la necessità di strade di solidarietà ben tracciate è ancora più forte.
Il Sir è andato a trovare Olivero proprio al Sermig per tornare su quella lettera e rilanciarne contenuti e ispirazioni.

 

In mese fa circa la Fraternità del Sermig ha diffuso al mondo una lettera-appello come risposta al conflitto Russia-Ucraina. Perché?

Perché in un momento come questo in cui sembra che non ci sia niente da fare di concreto per questa pace, per la conclusione di questa guerra, ognuno può fare concretamente qualcosa per costruire un terreno di pace nel raggio d’azione della sua vita e delle sue relazioni.

Da qui e solo da qui, dal vivere quotidiano, si può sempre ripartire per riscoprire cos’è la pace e riconoscere i germi di guerra che vivono dentro ciascuno di noi. E trovare dentro di noi gli anticorpi di pace che possono combatterli. Ci sono. La guerra esterna che provoca distruzione e morte, può farci riscoprire che qualcosa possiamo fare: cercare la pace dentro di noi e realizzarla concretamente nel piccolo mondo in cui viviamo. Partendo dalla consapevolezza che dentro di noi i germi di guerra esistono.

Guardarli in faccia e dissociarci. Il resto, piano piano, viene di conseguenza. Beninteso: per quello che riguarda la nostra vita.

 

Perché avete scelto di diffondere la lettera il 24 maggio?

Il 24 maggio è la festa di Maria Ausiliatrice, il 24 maggio di quasi sessant’anni fa è stato fondato il Sermig. Ma il 24 maggio di 107 anni fa l’Italia è entrata nel primo conflitto mondiale. Questo luogo era un arsenale di guerra, dove si costruivano armi, strumenti morte e di distruzione. Oggi questo stesso luogo è un arsenale di pace.

Ci è parso significativo rendere noto il nostro appello in quel giorno.

 

Ma cosa fare di fronte alla realtà di chi non vuole fare pace?

È vero, la realtà è che in questa guerra nessuno sembra volere realmente la pace.

Le posizioni reciproche si irrigidiscono. Non sembrano esserci spazi di manovra. Penso allora a casi più o meno recenti, perlomeno per la mia generazione, casi positivi di processi di pace iniziati. Penso a Oslo, all’inizio del processo di pace tra Israele e Palestina, cominciato nel 1993 con l’aiuto finanziario e territoriale della Norvegia e il coinvolgimento di attori diciamo ‘laterali’ come i professori universitari, per non dare nell’occhio…poi piano piano sono entrati politici di medio livello poi di livello sempre maggiore, poi infine sono stati coinvolti gli Stati Uniti.

Mi viene in mente un altro contesto: quello in Sud Africa che ha portato alla fine dell’apartheid. Ma lì tante persone premevano dal basso, si stavano organizzando da vent’anni. Erano gli anni ‘90. In quegli anni ancora non si poteva narcotizzare l’opinione pubblica con un’informazione drogata. Cosa che invece accade oggi sotto gli occhi di tutti.

 

Bene preghiera e difesa dei principi di pace… ma in concreto?

Preghiera e difesa dei principi di pace sono quello che realmente donne e uomini possono fare subito e concretamente, ripeto, a partire da sé stessi e dal raggio d’azione della propria vita personale e dalla comunità di persone che hanno intorno, dalla famiglia, dall’ambiente di lavoro. Certo, riguardo a questa pace ci sentiamo impotenti. Ma non possiamo sentirci impotenti.
Dobbiamo fare qualcosa: dunque intanto cominciare da noi stessi. Altrimenti la parola ‘pace’ rischia di non voler dire niente.

 

Servono anche atti straordinari? Immaginare milioni di uomini e donne che invadono pacificamente l’Ucraina e tolgono di mano i fucili ai contendenti. È un’utopia?

Non so esprimere un parere su iniziative così specifiche. Penso però che la pace dal basso sia frutto di una coscienza di popoli che non si improvvisa, ma che deve crescere e rafforzarsi lungo percorso, con un tempo che può non essere breve. Dunque, è una coscienza che si prepara con un cammino.

Ciò che bisognerebbe realizzare, questo sì, di corsa, è la profezia di Isaia di trasformare le armi in strumenti di pace. Ma Dio ha fatto l’uomo dotato di libero arbitrio.Alla base di ogni desiderio di pace esiste la volontà umana.

Si deve volere: si deve volere chiamare degli ingegneri, dei fisici, dei tecnici che una ad una riconvertano le macchine che fabbricano armi, sempre più sofisticate, in trattori, impianti di irrigazione, macchinari medici e terapeutici. Certo che è possibile.

Possibilissimo. Ma si deve volere. Fino a quando la logica del mondo sarà quella del profitto, sarà molto difficile. Non c’è industria che renda quanto l’industria delle armi.

Ecco che perciò non c’è che da pregare che spunti almeno un industriale di armi che abbia la volontà di fare la riconversione della sua fabbrica. Si deve pregare perché qualche volontà cambi. Allora torno a quello che dicevo prima: la preghiera più efficace è quella di donne e uomini che ci credono, si rimboccano le maniche e dicono: io intanto comincio da me stesso, comincio da me stessa, a fabbricare la pace.

Intanto dentro di me. Intanto nella mia vita.

 

È l’esempio del Sermig. Anche in questa vicenda della guerra Russia-Ucraina: in poche settimane avete ricevuto più di 1.500 tonnellate di aiuti da oltre trecentomila persone.

Il Sermig, sì. Non lo cito per commemorarci. Non mi interessa. Lo cito come esempio positivo che ho sotto gli occhi ogni giorno, che il mondo ha sotto gli occhi ogni giorno.

Ce ne saranno altri, ne sono certo. So che qua ci sono delle donne e degli uomini che hanno messo in gioco la loro volontà (e la loro ragione, il loro cuore e certo, la loro fede), per cercare di vivere in pace mettendo a disposizione corpo, testa, cuore e tanta fatica perché un po’ di pace la trovino anche altri, perlomeno quelli che ci raggiungono o che raggiungiamo noi. La volontà è determinata, perché rinnovata ogni giorno guardando al Vangelo, amandolo. E qui tra di noi la pace si respira. È vera, non ipocrita. È concreta. Allora torno a dire: chi impedisce che per piccoli gruppi, altri non possano fare altrettanto?
In questo modo si creerebbero delle oasi dove è visibile che si può vivere senza farsi guidare dalla competitività, dall’invidia e dalla voglia primordiale di mettere i piedi sul collo di qualcun altro.

Il Vangelo ci insegna costantemente a superare la natura per diventare persone. E la persona è una donna, un uomo dentro cui vive lo Spirito della pace. Lo Spirito poi è creativo, si realizza in modi sempre diversi. Chi ci impedisce di provare? E torno a dire: tentare questa strada mettendosi in gioco cominciando da sé stessi è preghiera.

Preghiera autentica. La preghiera è come un sasso lanciato in acqua: crea onde e arriva dove serve. Ma arriva sempre.

 

Fonte: agensir