La grande bellezza da non farci rubare

di Luigi Alfonso e Luca Cereda

 

Mancano educatori, infermieri, assistenti sociali, insegnanti, Asa e Oss. Quelli che ci sono, sono soverchiati dal lavoro e mal pagati. In un clima di perdita di senso del lavoro sociale e di mancato riconoscimento sociale, è importante anche raccontare la bellezza e il valore del lavoro sociale, primo passo per tornare ad affascinare i giovani e avvicinarli alle professioni della cura. Ecco cinque testimonianze.

 

Federica Berton, educatrice 34 anni, Milano

«Lavorare in comunità significa stare a stretto contatto con persone che hanno subito ingiustizie dalla vita o che comunque devono risollevarsi»: inizia così il racconto di Federica Berton, educatrice di Casa Adriana, una comunità educativa mamma bambino di Fondazione Arché.
«Accogliamo le mamme e i loro bambini, viviamo al loro fianco. Sono donne con vissuti molto difficili, che devono trovare la forza per andare avanti, per se stesse e per i loro figli. È una crescita quotidiana, per loro ma anche per noi: si cresce insieme, si instaura una relazione speciale», dice Federica. «Ognuna di queste persone ha lasciato un’impronta importante dentro di me». (L.A.)

 

Daniel Zaccaro, educatore 29 anni, Milano

«Nel quartiere di Milano in cui sono cresciuto, il valore di una persona si misura in violenza. E io sognavo di essere rispettato», racconta Daniel Zaccaro, educatore sociopedagogico nella comunità Kayròs di don Claudio Burgio, dalla quale anche lui è passato. Da pochissimo lavora per il Comune di Milano.

Tra i banchi di scuola Daniel era un bullo, crescendo è passato dai furti di motorini alle rapine alle banche, a soli 17 anni. Il carcere è stato per lui, così come i ragazzi che oggi assiste, «un check point quasi obbligato», racconta. Tra carcere e comunità, incontra le prime persone che lo guardano senza pregiudizio, gli educatori e soprattutto don Claudio: «mi ha insegnato il valore della solidarietà e della vera libertà, è grazie a lui se oggi sono un educatore e un punto di riferimento per ragazzi che sono come ero io». (L.C)

 

Luca Della Latta, assistente personale 34 anni, Camaiore (LU)

Luca dal 2013 è assistente personale di Francesca, una ragazza con atrofia muscolare spinale (Sma). La sua è una figura rara, perché solitamente questa funzione viene ricoperta da un caregiver interno alla famiglia: «I miei compiti sono vari e dipendono dalle richieste di Francesca, che conoscevo da prima di ricoprire questo ruolo. Ma ora il nostro è un vero e proprio rapporto di lavoro, normato dalla legge. L’obiettivo è garantire a Francesca la propria autonomia, coadiuvandola nelle attività quotidiane, senza sostituirmi a lei». Prima di questa esperienza Luca Della Latta, che è anche operatore turistico, non aveva nessuna competenza e formazione in questo ambito: «Ho cominciato accompagnandola all’università, passando il tempo libero con lei, andando al mare. (L.C.)

 

Patrizia Ceccarani, pedagogista 69 anni, Osimo

Oggi è il direttore tecnico scientifico della Fondazione Lega del Filo d’Oro, ma Patrizia Ceccarani è entrata in questa realtà nel 1969, come volontaria.
«In principio aiutavo nella raccolta fondi, poi è nata una passione che mi ha travolta. Ero al quarto anno delle magistrali, volevo fare l’insegnante, ma dopo il primo soggiorno estivo con le donne con sordocecità, ci ho ripensato. Mi sono iscritta a Pedagogia e la mia tesi di laurea è stata proprio sulla Lega del Filo d’Oro. Poco dopo mi hanno assunta come pedagogista».
Prima della pensione, Patrizia desidera «completare alcuni progetti. La mia non è stata solo una scelta di lavoro, ma anche umana, personale». La sua passione, ora, Patrizia vorrebbe trasferirla alle giovani leve della Lega del Filo d’Oro: «Perché qui le competenze e la passione devono andare sempre insieme». (L.A.)

 

Simona Lionetto, sociologa e counselor professionista 53 anni, Pozzuoli (Na)

Al Centro Infanzia Pizzicalaluna di Napoli, la cooperativa sociale Solidee e Fondazione Mission Bambini hanno aperto una “Stella”: è un centro che prende in carico il futuro dei bambini, sostenendo le famiglie con fragilità e creando un sistema di supporto interno alla comunità.
«Noi counselor siamo esperti di comunicazione e di dinamiche relazionali», spiega Simona, che dunque è una guida per bambini, ragazzi e famiglie in difficoltà, con le più diverse necessità. Quello del counselor è un lavoro di squadra: «I miei compagni sono psicologi, psicomotricisti per i bambini, così come recentemente, per un caso di povertà alimentare, ho messo in contatto una famiglia con un nutrizionista. Trovo stimolante, dal punto di vista umano e professionale, poter collaborare con altri professionisti, per il benessere un bambino». (L.C.)

 

 

Fonte: Vita