Di Gigi Cotichella
Il sospetto alla base: la risata comunque.
Un’analisi oggettiva del tempo libero dei ragazzi ci dice che è sicuramente aumentata la produzione di materiali leggeri e divertenti. Il successo dei meme è solo la punta di un iceberg, confermato da un mondo di cartoni animati sempre più demenziali e sempre più immediati.
Chi, come me è stato bambino negli anni 80-90, ha avuto cartoni animati complessi, spesso da complessati, storie di orfani o di ragazzi che diventavano orfani, che ce la devono fare. Storie tratte dai cosiddetti “romanzi d’iniziazione”, romanzi per mostre che si può crescere anche in condizioni avverse. Anche se a raccontarli oggi, il commento è sempre: “Ma che sfigati!”. Forse perché la forza sta nell’arrivare al finale, e oggi invece il dogma è spesso: “Tutto, subito e a nessun costo”.
Questo modo di pensare è tipico del divertimento di oggi. La completezza, l’immediatezza e l’assenza di fatica sono una necessità vincolante. Questo porta a essere veramente fragili di fronte alla noia e disposti a tutto per una risata.
La grande paura: sballo e bullismo.
La modalità di “leggerezza perenne” può portare a due caratteristiche davvero problematiche: l’assenza di analisi delle conseguenze e la convinzione che il divertimento dipenda da ciò che è fuori di me. La prima porta a ridicolizzare gli altri, perché se non penso alle conseguenze che problema c’è se per ridere ferisco qualcuno? La seconda porta a idealizzare tutto ciò che è esterno: locali, mode, prassi fino all’uso di sostanze per potersi divertire di più. In poche parole bullismo e sballo.
La sfida: divertimento e tempo libero.
La realtà che il divertimento è esattamente il contrario: decisione interiore e attenzione agli altri. Il divertimento è un cambiare punto di vista (letteralmente “altro vertice) che decido per stare bene.
I punti quindi sono tre:
- Decidere. Per divertirsi veramente deve esserci una scelta interiore, una predisposizione a stare bene. Sembra assurdo, ma è così. Se non mi credi approfondisci con l’articolo di Severino Cirillo, ti accorgerai che i tre aspetti del divertimento (presenza, flow e bellezza) nascono sempre a partire da una nostra scelta.
- Cambiare punto di vista. Divertente significa questo. Come “distrazione”, mi dirai tu. Sì, ma con una grande differenza: il protagonita. Divertire è un verbo in cui il soggetto sei tu, che decidi di cambiare punto di vista, come nel pensiero “divergente”. Distrarre è un verbo il cui soggetto è quello che ti distrae, appunto, mentre tu sei il… complemento oggetto!
- Stare bene. Qui c’è il salto di qualità. Se è vero che siamo animali sociali (ed è vero), se è vero che le relazioni fanno la differenza nella nostra vita (ed è vero), allora “stare bene” è sempre un verbo da declinare al plurale. In fondo se a una festa qualcuno sta male non fa piacere, no?
Sulla forza del divertimento e sulla sua necessità nella vita non mi dilungo, se vuoi ti rinvio a questo breve ed efficace articolo di Paleoseti.
L’opportunità: riscoprire il giocare
Ho già parlato della forza del giocare in casa, è un articolo che ti consiglio di rivedere perché dice già molto. Qui vorrei sottolineare 6 aspetti, partendo da cinque luoghi comuni che criticano il gioco. Sarà come costruire un dado del buon giocare.
- Il gioco è una perdita di tempo. Vero. ma proprio per questo è un segno d’amore («Tu sei così importante che io ti regalo il mio tempo senza ritorni immediati») che educa alla gratuità. Tra l’altro riuscite mica a giocare volentieri, se in quel momento non sopportate quella persona.
- Il gioco è una vita irreale. Vero, se perdi tutto a Monopoly, il tuo conto in banca resta a posto. Proprio per questo educa al simbolico e il simbolico è un linguaggio su cui ci giochiamo tutto. Se non ci credi prova a regalare un cristantemo a chi ami…
- Il gioco è un tempo informale. Vero, e sembra che nel nostro mondo conti solo il formale. In realtà è nell’informalità che noi plasmiamo la formalità. Lo stile di vita lo si apprende dallo “stare con”, dall’informalità dentro anche l’informalità.
- Il gioco è divertente, perciò distrae. Falso, il gioco è divertente perché scegli tu di giocare, se è il gioco a impossessarsi di te senza mai farti staccare, non è più un gioco ma dipendenza (e chiediti perché sul gioco questa dipendenza è quasi sempre collegata a schermi di vario genere!).
- Il gioco è da bambini. Vero, se aggiungi in mezzo “iniziato”. Nel bambino il gioco serve per imparare a vivere e per imparare a imparare, per questo anche da adulti il gioco e il divertimento sono così efficaci e forti, perché toccano la nostra identità più profonda. Da questo principio deriva la forza della gamification, della didattica ludica, del learning by playing.
- Giocare è faticoso. Vero, e la fatica dipende dal tipo dei giochi, per questo giocando, noi possiamo educare alla fatica, all’impegno anche in modo graduale.
In conclusione
Riscoprire la forza del gioco, perdere tempo a giocare con i ragazzi, ma anche con gli adulti, le persone in generale è un approccio educativo, che quindi richiede tempo e convinzione. Spesso sento insegnanti che mi dicono: «Nella mia classe non si può far giocare!». Per me, quella è proprio una classe che deve giocare più di tutte. Sono convinto infatti che giocare riaggiusta l’umano, e che non c’è persona che abbia bisogno di giocare, più di chi non riesca a farlo. In più è banale, ma se gioco e gioco magari con un gioco da tavolo, posso staccare i ragazzi dagli schermi, creare del tempo di qualità, riuscire a ritrovare un tempo e uno spazio più umano, proprio perché davvero divertente.
Perciò buon gioco di cuore, e se ti va di leggere qualcosa di bello sul gioco, ti consiglio questi due libri di cui ho fatto anche la recensione: Buon Gioco e Giocare per giocarsi.
Fonte: agoformazione