di Amedeo Lomonaco
Nell’ottobre del 1962 la crisi dei missili a Cuba porta l’umanità sull’orlo della terza guerra mondiale e di un conflitto nucleare. Pochi mesi dopo, viene pubblicata la lettera enciclica “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII rivolta all’episcopato, al clero, ai fedeli di tutto il mondo e a tutti gli uomini di buona volontà. “La pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio”.
L’uso della forza sopprime il dialogo
Con l’ordine mirabile dell’universo, scrive il Pontefice, continua a fare “stridente contrasto il disordine che regna tra gli esseri umani e tra i popoli”. Quasi che, si legge nell’enciclica, “i loro rapporti non possono essere regolati che per mezzo della forza”.
Anche in questo nostro tempo, che riflette le sue più grandi angosce in guerre atroci come quelle combattute nello Yemen e in Ucraina, la forza e la potenza militare si sostituiscono alle vie del dialogo e soffocano quelle della diplomazia e del negoziato.
Una corsa folle
La corsa agli armamenti e il rischio di un conflitto atomico non sono capitoli confinati solo nel passato. Anche oggi il mondo è terrorizzato dalla tragica e non irrealistica prospettiva di una guerra nucleare. Risuonano, come se fossero legate anche a questo nostro tempo, le parole di Papa Roncalli scritte nell’enciclica “Pacem in Terris”: “Gli armamenti si sogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze”.
“Quindi se una comunità politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il passo ed armarsi esse pure. E se una comunità politica produce armi atomiche, le altre devono pure produrre armi atomiche di potenza distruttiva pari”.
La guerra, un incubo per l’umanità
In un mondo in cui l’equilibrio e la pace sono garantiti anche dalla minaccia delle armi, gli uomini vivono “sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile”.
“E se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla”.
Si arresti la corsa agli armamenti
La paura e il rischio concreto di una guerra nucleare esigevano nel tempo della guerra fredda e richiedono ancora oggi scelte politiche responsabili: “giustizia, saggezza ed umanità – scrive Giovanni XXIII – domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci”.
Occorre un disarmo integrale
Per fermare la corsa dell’uomo verso la propria autodistruzione è necessario un disarmo integrale che non limiti solo la voce delle armi: “occorre riconoscere – si legge nell’enciclica Pacem in Terris – che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia”.
Chi non desidera consolidare la pace?
C’è una domanda, in particolare, che interpella il cuore di ogni uomo e che Giovanni XXIII inserisce nell’enciclica Pacem in Terris: “Chi è che non desidera ardentissimamente che il pericolo della guerra sia eliminato e la pace sia salvaguardata e consolidata?”. “Dalla pace – osserva il Pontefice – tutti traggono vantaggi: individui, famiglie, popoli, l’intera famiglia umana”. Oltre a questa domanda risuonano ancora oggi anche le parole di Pio XII ricordate da Papa Roncalli: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra”. Le speranze, oggi come allora, sono riposte nella “profonda aspirazione comune a tutti gli uomini di buona volontà”: la ricerca e il consolidamento della pace.
Fonte: vaticannews