Sabrina Pignataro
Alla famiglia Frassinelli è bastata una mail al Consolato Generale d’Ucraina a Milano per accogliere a casa propria, in appena 24 ore, quattro persone ucraine fuggite dai bombardamenti: Maria, una nonna di 60 anni; sua figlia Nastia, di 38 e i suoi nipoti, Vlad (di quasi 18) e Makar di 5. Il padre dei ragazzi, 40 anni, li ha accompagnati al confine con la Moldavia ed è dovuto rimanere in patria a combattere, anche se non avrebbe voluto. La sorella di Nastia invece, che di anni ne ha 22, ha proprio scelto di non andare lì.
«Mio marito è una testa calda, un entusiasta, sempre pronto ad aiutare gli altri», racconta Federica. «Quando è scoppiata la guerra noi eravamo a sciare e lui voleva mollarci lì e andare in Polonia a prendere i primi rifugiati che scappavano. Io gli ho detto: “ma Gianluca, abbiamo già tre figli, come facciamo? E poi mica è possibile andare lì e portarsi delle persone a casa». Ma Gianluca non si è lasciato intimorire. Tornato a Milano ha fatto un paio di telefonate per capire come poter dare aiuto e alla fine giovedì ha contattato il Consolato.
«Venerdì ero da parrucchiere, un evento straordinario per me, quando mio marito mi ha mandato un messaggio: “Fede quanto torni a casa, io sto andando a prenderli?” Mi sono tremate le gambe. E dopo un paio di ore la nostra famiglia da cinque è diventata da nove», racconta ancora Federica, che con sincerità non nasconde i dubbi, le perplessità e le fatiche. «In queste ultime ore tanti amici ci stanno scrivendo per dirci: “ma che bravi”, “che forti”, “che coraggiosi”, “siete un esempio”. Io mi sento a disagio davanti ai loro complimenti. Non ero così favorevole. Anzi. Ero molto agitata. E lo sono ancora. E’ bellissimo, loro hanno modi educati e sorrisi sinceri. Ma non è semplice».
«In queste ultime ore tanti amici ci stanno scrivendo per dirci: “ma che bravi”, “che forti”, “che coraggiosi”, “siete un esempio”. Io mi sento a disagio davanti ai loro complimenti. Non ero così favorevole. Anzi. Ero molto agitata. E lo sono ancora. E’ bellissimo, loro hanno modi educati e sorrisi sinceri. Ma non è semplice».
Federica
Il problema non è l’abitazione: i Frasinelli vivono in una villetta. La figlia Marta (che va in prima media) ha lasciato la sua mansarda ed è tornata in camera con il fratellino Edo. Maria, Nastia, Vlad e Marak si sono accomodati lì. La prima notte hanno dormito sulle brandine, poi sabato degli amici hanno portato a casa loro delle reti e i materassi. «Marta all’inizio continuava a piangere. Forse anche lei era spaventata perché non capiva cosa stesse accadendo: degli sconosciuti stavano venendo a vivere da noi. Edo invece, con la spensieratezza dei cinque anni era molto felice, perché stava arrivando un bimbo della sua età.
Un nuovo amichetto. Lorenzo, il figlio più grande, quasi 16 anni, era in ritiro con l’oratorio, senza cellulare. Un educatore venerdì sera, quando il padre ha messo un post su Facebook, gli ha passato il telefono e gli ha detto: devi vedere cosa sta accadendo a casa tua. E lui è scoppiato a piangere: è molto orgoglioso. Sabato è tornato, sì è trovato la casa sottosopra, un andirivieni di amici che portavano mobili, vestiti, giocattoli: dice che stiamo facendo la cosa giusta».
Anche se è ancora un po’ scossa e provata dalla stanchezza, Federica oggi è contenta «Guardo Nastia, che ha solo due anni meno di me, e mi dico che siamo uguali. Nel senso che anche lei è una mamma, che anche lei vorrebbe il meglio per i propri figli, che anche lei ogni tanto si nasconde in cucina perché non vuole farsi vedere piangere. Certe volte le arriva un messaggio sul cellulare, una telefonata, e si incupisce. Ci abbracciamo forte, senza dire nulla. Cosa potrei aggiungere? Siamo donne. Suo marito è al fronte, la sua casa è distrutta. Hanno vissuto per strada sette giorni, dormendo su svariati mezzi e nei posti più assurdi. Hanno abbandonato la loro casa. Hanno incontrato un infame che li ha derubati. La loro vita è stata fatta a pezzi».
Guardo Nastia, che ha solo due anni meno di me, e mi dico che siamo uguali.
Federica
«Osservo Edo e Marak e mi si annoda la gola», racconta il papà Gianluca. «Stessi anni e stessi capricci, stesso sorriso. Uno però ha il papà in guerra che ogni volta che chiama potrebbe essere l’ultima volta. E Makar a volte non ha voglia di parlarci, perché è un bambino. Così come tante volte quando chiamo io e Edo non ha voglia di parlarmi. Bambini. Fossimo tutti bambini saremmo capricciosi, ma un secondo dopo sapremmo nuovamente giocare insieme. I bambini non sono ipocriti. Sono egoisti, ma sanno fare la pace!»
La comunicazione in casa Frassinelli è supportata da google translate: solamente Vlad, il figlio più grande, parla un po’ di inglese. Gli altri solo ucraino. «Vlad è qui con noi perché compirà 18 anni il prossimo aprile, altrimenti sarebbe a combattere», spiega Gianluca mentre si prepara per accompagnarli alla questura per avviare le pratiche burocratiche. Federica e Nastia invece andranno a fare la spesa insieme. «A Makar non piace per nulla la mia pasta asciutta. Chiede solo pane e nutella. Probabilmente preferirebbe una zuppa. Magari se cucina la sua mamma finalmente mangerà».
Lunedì mattina Gianluca e Federica andranno al lavoro; Lorenzo al liceo; Marta alle medie e Edo all’asilo. I loro ospiti resteranno da soli a casa per la prima volta. Federica tornerà verso le 15, quando terminerà il suo lavoro da educatrice di scuola materna. «Ancora non so quando potrà frequentare anche Makar ». Venerdì il Ministero dell’Istruzione ha inviato una nota alle istituzioni scolastiche con le prime indicazioni e le prime risorse previste per garantire il diritto allo studio e il supporto psicologico a bambine e bambini in fuga dai territori coinvolti nella guerra e ai loro genitori. Le scuole si stanno preparando.
Non so quanto i nostri nuovi amici resteranno con noi», conclude Federica. «Noi abbiamo dato la disponibilità di un anno, un tempo lungo. Ma non sono convinta che rimanere a casa nostra per dodici mesi sia la scelta più giusta. In questo momento si sentono riconoscenti per il calore ricevuto, ma anche un po’ a disagio. Nastia ha chiesto di poter lavare i pavimenti. Si sentono di dipendere da noi. Siamo in un equilibrio impari. Credo che tra un po’ avranno desiderio di una casa propria, di lavorare, di andare a scuola, di essere autonomi. Questo restituirà loro quella dignità che ora temono di avere perso. Nel frattempo li aiuteremo ad incontrare le comunità ucraine presenti a Milano, sperando che la loro presenza possa aiutarli a condividere quelle emozioni che ora sono aggrovigliate nel loro cuore».
Nella parole di Federica c’è la piena consapevolezza che lei, l’intera famiglia, non possano guarire, cullare, accogliere, stringere il mondo intero intorno alla loro tavola. Ma è vivo il desiderio di tenere il cuore aperto, gli occhi aperti. Lo fanno da sempre. Lo stanno facendo anche questa volta.
Quando chiudo la conversazione con lei ripenso ad una frase di Chandra Livia Candiani: «La franchezza, la pronuncia pulita del tragico, le parole che mi svegliano, questo mi fa bene». Mi spingono ad agire.
Fonte: vita