Milano, Stazione Cadorna, ore 18:15. La voce che annuncia partenze e arrivi si sussegue intervallata con il fischio assordante dei freni dei treni in arrivo.
Decine e decine di persone di ogni foggia corrono all’impazzata sperando di riuscire a prendere il treno letteralmente all’ultimo secondo. Fra di loro c’è anche Alberto, anche lui corre, come tutti gli altri, ma con una differenza: sorride!
Corre, mi raggiunge e riesce a prendere il treno con me, 18:17, direzione Busto Arsizio, dove entrambi viviamo. Alberto è un giovane di 25 anni, laureato in giurisprudenza, tirocinante presso il tribunale di Milano, con il sogno (anzi, la vocazione!) di diventare magistrato, a servizio dei più deboli.
Una vera conversione, la sua. Uno dei ragazzi più ambiti del liceo classico “D. Crespi”, un’adolescenza come tante, vissuta senza troppo cercare (almeno apparentemente) il senso delle cose, fino all’incontro con Dio, che cambia gli occhi, il cuore e la vita (fidatevi, basta incontrarlo e ve ne accorgereste subito!).
Educatore del gruppo dei 18-19enni nel suo oratorio, con un’esperienza importante nel movimento del Rinnovamento Carismatico che ora si è aperta alla Chiesa intera. Fino ad arrivare a sabato scorso, 6 novembre, in Duomo a Milano, dove era uno dei 200 giovani invitati a dialogare con i vescovi lombardi. Così, non perdo l’occasione e gli porgo qualche domanda.
Suor Chiara Papaleo intervista Alberto Bogdalin
Com’era strutturato l’incontro?
L’incontro è stato strutturato nel seguente modo: 200 giovani lombardi hanno incontrato i vescovi della regione per dialogare su 5 temi: vocazione e lavoro, affetti, riti, ecologia, intercultura. L’incontro è iniziato sabato mattina con un momento di preghiera, al quale è seguita la suddivisione nei vari gruppi di lavoro.
Ciascun gruppo era composto da circa 15 giovani più un vescovo di riferimento e ciascun giovane è stato chiamato a riportare la sua percezione (anche e soprattutto alla luce dell’ascolto dei suoi coetanei) sul tema del tavolo di appartenenza. Io, nello specifico, sono stato chiamato a condividere il tema della vocazione.
Che cosa hai detto ai vescovi?
Ho deciso di dare un taglio più spirituale, sebbene se ne potessero dare moltissimi altri. Nel mio ascolto sono partito dalla concezione di vocazione come “relazione”.
La prima relazione è quella con Gesù vivo, che ci chiama a conoscerlo e ad essere suoi amici. Tramite Lui conosciamo il Padre, il quale ci invita alla prima vera vocazione: essere figli. Da questa relazione con il Padre, che è una relazione d’amore, si inserisce un’altra relazione: nasce l’esigenza “viscerale” di avere una relazione con l’altro, con il fratello, di dare la vita per lui, di “farsi pane”. Ecco che, allora, si apre il tempo in cui occorre discernere quale sia la via più concreta per rispondere a questa vocazione, tenendo conto della propria vita, della propria storia, dei propri talenti e delle proprie inclinazioni.
Nel mio ascolto dei giovani ho rilevato che, a parte pochi che ambiscono (apparentemente) soltanto ad una propria affermazione professionale e sociale, molti riconoscono dentro di sé il desiderio verso qualcosa di grande: essere sposi, genitori, non vivere solo per sé stessi ma anche per gli altri. Questo è sicuramente opera dello Spirito Santo che in ogni essere umano semina il bene e che, spesso, fa realmente sentire e vedere nei cuori la sete di “cose grandi”.
Tuttavia, ho constatato che molti non vivono la loro vita in relazione con Gesù e con il Padre, pochi la vivono sporadicamente, molto pochi, infine, cercano di coltivarla quotidianamente seppur con le difficoltà del cammino. La conseguenza è che si vive la vita da “orfani”. Chi ha incontrato Gesù vivo e ha vissuto la vita con Lui (come i santi) conosce la differenza tra la vita senza di Lui e la vita con Lui. Con Lui tutto diventa (concretamente) pienezza, amore, relazione, tutto assume il gusto della vita eterna. Siamo chiamati a questa vita “gustosa”, a questa vita nuova, a questa vita piena.
Certamente, essere uomini e donne “buoni” è un bene, è una grazia, ma essere santi è quel qualcosa in più a cui siamo chiamati, quel qualcosa che se manca dà una sensazione di incompletezza. I cuori dei giovani, il più delle volte inconsapevolmente, sentono questa mancanza e la mascherano.
Alla luce di questo, ho cercato di individuare quelle vie che potrebbero aiutare i miei coetanei a conoscere Gesù ed il Padre, essendo questo il reale fondamento sopra il quale costruire la vita.
Quattro possono essere le vie:
– la “via della fraternità con una guida” (preferibilmente consacrato), ad esempio le belle esperienze di vita comune che già si fanno. Questa via è per tutti e può essere molto utile per chi è vicino o frequenta ambienti di “chiesa”, ma fatica a fare un incontro con Gesù.
– la “via della spiritualità”: moltissimi giovani manifestano una sete di spiritualità, che in realtà è una sete di dare un nome a quel qualcosa in più che sentono mancante (cfr. essere figli), e rispondono gettandosi su vie “incomplete” e a volte pericolose (New-Age, spiritualità orientale etc). Per questo si potrebbe attingere alla grande spiritualità della Chiesa. Alcune strade possibili sono quella della preghiera del cuore, quella della preghiera di lode e di adorazione propria del Rinnovamento Carismatico e di moltissimi altri movimenti “giovani”;
– la “via della carità” già nota;
– la “via della Parola”: percorsi di catechesi che intercettano i sogni, i desideri, i dubbi, le fragilità ed i timori più profondi dei giovani. Un esempio diffuso in Italia è il “Cammino delle 10 Parole” ideato da don Fabio Rosini.
Tutto questo è, però, inutile se la “Chiesa” si limita soltanto a proporre nuove iniziative, anche se astrattamente perfette, perché il bisogno più grande di questo tempo, la richiesta che i giovani gridano con la loro assenza, è la presenza al suo interno di sacerdoti con un “cuore di padre” e di consacrate “con un cuore di madre”.
Abbiamo sete di santi, uomini e donne di vera preghiera (e, quindi, anche di vera umanità), abbiamo sete di uomini e donne che letteralmente danno la loro vita, che si fanno anche loro “pane” senza trattenere nulla, che sono consumati dall’amore.
Solo così saranno fecondi e renderanno feconda la Chiesa.
Che cosa ti è rimasto di questo incontro? Quali speranze?
Sicuramente porto nel cuore l’avere fatto esperienza di Chiesa, ovvero l’esperienza del Popolo di Dio che cammina con i propri Pastori. Mi ha molto arricchito anche l’ascolto degli altri miei coetanei seduti al tavolo con me. La gioia più grande è stata, però, avere l’occasione di far presente ad un vescovo le difficoltà che i giovani vivono di modo che la Chiesa possa davvero trovare le vie per raggiungerli.
La mia speranza è che questo cammino aiuti la Chiesa ad individuare le modalità attraverso le quali poter comunicare tutta la sua bellezza e la bellezza di Gesù vivo.
Questo perché sono convinto che il mondo sia pieno di “Carli” Acutis, “Chiare Luce”, “Franceschi e Chiare” d’Assisi, “Franceschi” di Sales, “Terese” d’Avila e di Liseaux, Giovanni Bosco che stanno aspettando di incontrare Colui che li chiami a diventare santi.