Di Annalisa Teggi
Due padri sono morti nella tragedia della funivia di Stresa, due storie. Il papà di Eitan lo ha salvato abbracciandolo, invece la figlia di Vittorio Zorloni ho voluto scrivere al padre deceduto: “Qui non ci capivamo, ma da lassù faremo finalmente pace”.
Un evento di portata enorme, nella gioia o nel dolore, distilla gocce di vita pian piano. Come un riflettore accecante illumina, ma l’occhio ci mette un po’ a mettere a fuoco tutto. E la vista è ancora velata da molte lacrime pensando alla tragedia che si è consumata domenica sulla funivia Stresa-Mottarone.
Voci, dettagli e storie interrotte
È arrivato il momento, il silenzio del cordoglio è finito e siamo travolti da parole e immagini. Sulle prime pagine dei giornali ci sono già i disegni con la ricostruzione della possibile dinamica dell’incidente. Capire il funzionamento delle funi traenti e dei “forchettoni” ci aiuterà a placare l’angoscia? Si moltiplicano le interviste, a chi è salito prima sulla stessa funivia e a chi, all’ultimo, non è salito sulla cabina poi precipitata. Ci basta dire che il destino è un cecchino a cui si sfugge per un soffio?
Non sono questi i dettagli che la storia consumatasi domenica scorsa verso le 13 ci chiede di guardare. Come per la spinta di una potente forza centrifuga rifuggiamo dalla parola centrale che riguarda questo evento: morte. E’ il volto di una morte improvvisa, che ci sorprende mentre siamo felici e spensierati, giovani e innamorati, che atterrisce. Ed è l’unica cosa da cui vale la pena non togliere lo sguardo.
Proprio poco tempo fa abbiamo ospitato su For Her la testimonianza di Suor Theresa Aletheia Noble che osa l’impossibile: parlare di morte sui social.
Meditando regolarmente sulla nostra morte inevitabile perdiamo il nostro orgoglio per donarci alla grazia, e per vedere con maggiore chiarezza le verità spirituali rispetto a quelle materiali, capendo che il fine della morte è la resurrezione e l’unica cosa che dura in eterno è l’amore.
La morte mette un punto, all’improvviso, a una frase che avremmo voluto concludere noi, più avanti magari, scegliendo un finale adeguato, o forse lasciandola sospesa indefinitamente. Su quella cabina che saliva al Mottarone c’erano 14 storie che sono state interrotte, ma grazie alla violenza dolorosa di un punto fermo imprevisto e tragico ora quelle frasi – la vita di ciascuna persona – ci parlano con una voce molto più chiara.
L’ultimo abbraccio del papà ha salvato Eitan
“Per essere riuscito a sopravvivere al terribile impatto è probabile che il padre, che era di corporatura robusta, abbia avvolto con un abbraccio suo figlio”. In questo modo il piccolo Eitan, 5 anni, unico sopravvissuto sulla funivia della tragedia a Stresa, potrebbe essersi salvato: è l’ipotesi che fanno alcuni medici dell’ospedale Regina Margherita di Torino, dove il piccolo è ricoverato da ieri pomeriggio e lotta per sopravvivere a traumi e fratture.
da Repubblica
Trapela un cauto ottimismo dall’ospedale Regina Margherita di Torino riguardo alle condizioni di Eitan. La sua situazione generale resta molto grave, ma la risonanza di ieri pomeriggio non ha evidenziato danni neurologici a livello celebrale né del tronco encefalico. E qui ci si congeda dalla cautela, anche i medici ammettono che sia un fatto davvero straordinario considerando quel che il bimbo ha subìto. Qualcosa lo avrà forse protetto? Qualcuno.
E’ solo un’ipotesi, ma non campata per aria: le lesioni di Eitan hanno fatto pensare che il corpo del padre, abbracciandolo nella caduta, lo abbia protetto e salvato dalla morte e da conseguenze più gravi di quelle attuali. Sarà un abbraccio che durerà, considerando quel che Eitan dovrà affrontare quando (tutti ce lo auguriamo) si sveglierà e comincerà il suo percorso di guarigione. Guarire? – ci penso mentre lo scrivo.
Fare i conti con l’accaduto a un’età così tenera è qualcosa che non so immaginare. Ora accanto a lui c’è la zia Aya Biran che lo accudirà con ogni premura. E sarà seguito da psicologi, avrà l’affetto di tanti amici e parenti. Ma non spariranno i segni profondi di un trauma così devastante: perdere tutta la famiglia sotto i propri occhi, correre il rischio di morire.
Sarà la presa di quell’ultimo abbraccio a non mollarlo nel viaggio buio che aspetta questo bimbo. Più di ogni carezza addolorata di parenti e amici (sacrosanta), più di ogni affondo psicologico (necessario), sarà la presenza di quel sacrificio a tenere stretta la sua anima sul ciglio di un abisso nero. Lo immagino solo, prego che questo accada.
Su tanti giornali si parla di quanto la famiglia Biran fosse felice e piena di affetto incondizionato. Ecco, tutto ciò potrebbe ridursi solo a una cornice da Mulino Bianco, ma se accade che quel bene s’incarni – all’improvviso, senza preavviso – nell’ultimo sì di un padre alla vita di un figlio… allora la presenza viva di quel sacrificio non si spegne.
E penso alle nostre giornate di genitori. Non sono mai perfette, spesso sono piene di inciampi e incomprensioni. Ma forse importa solo che tutto quello che affrontiamo, con fatica o con entusiasmo, ci alleni a piantare il seme di quel sì al sacrificio se ci verrà chiesto.
«Sistemeremo tutto e ci riabbracceremo, papà»
Quando s’insegna l’analisi logica si dice che l’elemento fondamentale di ogni proposizione è il predicato. Se c’è quello la frase esiste. Ci sono storie che sono come frasi che aspettano di essere concluse con il completemento giusto, sensato e pacificante. Angelica Zorloni ha visto interrotta la storia con suo padre prima di un lieto fine.
La morte ha messo un punto fermo, lì dove c’era un rapporto complicato e poco risolto. Angelica ha perso suo padre, che era a bordo della cabina precipitata, e sta facendo i conti con una frase rimasta all’essenziale: “Sono tua figlia”. Ha sentito, allora, il bisogno di scrivere subito qualcosa – una lettera al papà che ha pubblicato sui social:
Anche se non leggerai mai queste parole c’è una cosa più grande e potente che ci legherà in eterno. E so, papà, che non è stato in questa vita, ma sarà nella prossima in cui sistemeremo tutto e ci riabbracceremo. E tu, piccolo Mattia, oggi diventi un angelo meraviglioso e tanto prezioso accompagnato dalla tua mamma. Vi porto nel cuore come solo le cose belle si possono portare. Alla prossima vita, che adesso possiate ridere tutti e tre di nuovo insieme nella luce più splendente di tutte
da Monza Today
Angelica era figlia di Vittorio Zorloni, ma sulla funivia suo padre era insieme alla sua nuova compagna e al figlio Mattia avuto da lei (e deceduto nella serata di domenica). C’è dunque una famiglia separata alle spalle di questa storia e ci sono legami complicati. La morte ha interrotto un racconto in cui qui sulla terra ci si sarebbe aspettati, magari, la lunga via di una riconciliazione.
Anche la geografia dei fatti fa pensare. Il giorno della tragedia, per un caso (?), Angelica si trovava sul versante opposto della montagna dove ha perso la vita quel papà con cui aveva molti conti in sospeso. Di certi legami strettissimi si può dire che ci si guardi da lontano, rimanendo ciascuno agli antipodi dell’altro. E resta però il mistero di una relazione che non si spezza. Fare chiarezza qui, sulla terra, a volte è impossibile. Solo il punto fermo della morte ha svelato, all’improvviso, ad Angelica che anche quella ridda di emozioni forti e poco chiare erano voler bene a suo padre.
Nessuno se non «sorella» morte c’insegna che valgono anche gli abbracci mancati e rifiutati. Fa presa e stringe forte la nostalgia di un bene non ricevuto e non dato, perché ci mette dentro il bisogno che le ferite siano curate, ma non da cerotti usa e getta. «Una piaga che non si rimargini se non in cielo», dice L. de Grandmaison nella sua preghiera del padre. L’intuizione autentica – tutt’altro che oppio per l’anima – dell’eterno è venuta alla giovane Angelica proprio abitando il tempo di un’incomprensione che sulla terra resterà irrisolta:
Avete pensato di andare finalmente a farvi un bel giro in funivia nel primo giorno di sole e libertà e invece le nostre strade si sono divise per sempre. So che da lassú adesso faremo finalmente pace perché, semplicemente, in questa vita non eravamo destinati a riuscire a parlarci in modo giusto.
Ibid.
Fonte: Aleteia