di Massimo Iiritano*
«Niente può consolare della morte, e la morte non può consolare di niente». Così di esprimeva con il suo linguaggio aspro e “terribile”, ma a tratti anche soave e scanzonato, Manlio Sgalambro, il filosofo che fu più caro e prossimo a Franco Battiato, nell’ultima decisiva fase del suo “pensiero” e della sua opera”.
Pensiero e opere. Di questo infatti si tratta, se vogliamo concedere le giuste parole ad un autore che ha fatto della canzone e della ricerca musicale il senso della sua stessa ricerca esistenziale e delle tracce profonde che ha saputo lasciare in generazioni così diverse e distanti tra loro. Fino alle ultime, ai teenagers di oggi, che in tanti piangono, letteralmente, oggi, la sua morte.
«Niente può consolare della morte, e la morte non può consolare di niente»: con queste parole di verità lo avrebbe paradossalmente “consolato”, forse, oggi, il suo caro amico Manlio Sgalambro. E Sergio Quinzio, che in una dolce e consolante serata siciliana, nella sua cara Catania, li aveva incontrati insieme, ricordava con piacere quelle ore passate a discutere di Dio, di morte e di consolazione.
E sì, perché la ricerca musicale di Battiato è stata sempre, sin dalle origini, una ricerca filosofica e teologica, che ha saputo darci il senso e il sapore di un’esistenza vissuta, fino a farsi un tutt’uno con le nostre di esistenze, tracciate e segnate nel profondo da quelle canzoni. Parole e suoni che hanno ritmato la nostra “educazione sentimentale” e di pensiero, che hanno scandito il ritmo delle nostre appassionate discussioni teologiche e filosofiche, e che difficilmente ci lasceranno. Della teologia Battiato aveva il “gusto”, sapeva avvertire e comunicare il sapore e il suono. E poco importa se per far ciò non avrebbe mai potuto farne un “trattato”. Anzi, molto importa in effetti, perché è qui il suo genio, la sua originalità.
Una via aspra, dalla quale non sempre e non facilmente si giunge alle stelle. Una via fatta di tanti percorsi che si intrecciano, si sovrappongono, in una direzione mai lineare, che nessuno potrà mai semplificare in parole e concetti che possano fare a meno di quello che era e resta il loro terreno: la musica, appunto. Linguaggio dell’anima, come già Platone ci aveva insegnato, come i tanti mistici d’oriente e d’occidente insegnarono a Battiato, che pure seppe restare comunque radicato nella sua carnale e “terragna” Sicilia. Terra dell’anima, dimensione metafisica e musicale del suo e del nostro esistere, ma al tempo stesso fatta di suoni, colori, luce abbagliante, asperità adorabili, colori brucianti di infinito.
*Massimo Iiritano è docente di filosofia in un istituto superiore e presidente dell’associazione Amica Sofia
Fonte: vita