Di Andrea Miccichè
L’enciclica Fratelli tutti si conclude nello stesso modo in cui era cominciata: Papa Francesco, all’inizio, ha confidato come l’idea di un documento sulla fraternità umana sia nata dall’incontro di Abu Dhabi con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb; ora, tirando le fila del discorso, riafferma il contributo delle religioni nella costruzione della pace, della giustizia e dell’amicizia sociale (n. 5).
L’Occidente secolarizzato riconosce il principio di uguaglianza, ma, negando il valore trascendente della dignità, ha via via perso il senso della fratellanza. “Sono forse io il custode di mio fratello?”, rispondeva Caino a Dio, che gli chiedeva conto del fratello; “Sono forse io il custode di mio fratello?”, risponde oggi la società che, pur di conseguire il massimo possibile per sé, calpesta i diritti degli ultimi.
La Chiesa non solo riconosce la propria missione di rendere presente Dio all’uomo di oggi, ma si appella a tutte le confessioni religiose perché diffondano il “raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” (così afferma la Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra Aetate, 2, richiamata dal Papa al n. 272 di Fratelli tutti).
Di fronte al dilagare dell’egoismo del materialismo, l’individuo nega la propria dipendenza da Dio e, credendo di liberarsi da vecchie superstizioni, rimane sempre più schiavo dei suoi istinti e delle sue passioni.
Lo stesso uso della ragione, privato della dimensione sacra della dignità, diventa razionalismo incapace di dialogo. In nome della laicità o, meglio, del laicismo, le religioni vengono poste ai margini della discussione pubblica (nn. 275-276).
Pensiamo a questo tempo di pandemia: mentre gli Stati e la scienza cercavano di portare un argine al virus e adottavano misure restrittive all’esercizio dei diritti – compresa la libertà di culto –, le religioni sono state quel tramite di umanità, di speranza, di conforto, che né la scienza, né la politica potevano garantire. Ciò testimonia la complementarità delle dimensioni umane: la scienza, la politica, il diritto, l’economia, la filosofia sono essenziali per la vita sociale, ma non sono tutto. La tentazione laicista di lasciare la fede nell’ambito privato poggia su una falsa considerazione dell’uguaglianza e del rispetto degli altri: non è condannando la religione all’irrilevanza che si genera pacifica convivenza.
I risultati di un simile errore sono sotto gli occhi di tutti: da un lato, la dimensione religiosa perde sempre più consistenza e coerenza, dall’altro, la ghettizzazione delle persone più disagiate trova sfogo verso estremismi che, strumentalizzando la fede, giungono al terrorismo religioso (n. 283).
Nonostante il laicismo sia diffuso delle moderne democrazie, la Chiesa cattolica non recrimina, né rivendica aspirazioni temporali, non vuole privilegi, né minaccia rappresaglie: ascolta e testimonia (n. 277).
Come affermava Benedetto XVI, La Chiesa annuncia la “sana laicità”, “che implica l’effettiva autonomia delle realtà terrene, non certo dall’ordine morale, ma dalla sfera ecclesiastica”; la comunità dei credenti è consapevole del contributo che può dare allo sviluppo democratico e al rispetto dei diritti e dei valori che tutelano la persona umana, ma si scontra con la sordità e con il disprezzo di chi si ritiene autosufficiente.
Come fare? Testimonianza e dialogo sono il seme che la Chiesa getta nel campo del mondo; consapevolezza della propria identità e accoglienza delle differenze sono la cifra dell’impegno per una società più giusta.
È una posizione di apparente debolezza: chi dialoga si mette in discussione, non impone la propria visione, prova a comprendere le ragioni altrui… E, invece, è la vera forza del credente, che sa di seguire le orme del proprio Maestro, che ha condiviso la sorte degli ultimi e si è fatto mediatore tra Dio e l’umanità (n. 282).
Chi dialoga ha l’opportunità di rinsaldare la fede, scoprendo le radici del proprio credo, incarnando quanto professa nelle situazioni di ogni giorno, manifestando la bellezza di essere in cammino verso Dio. È l’esatto contrario della debolezza. Chi ha paura del dialogo è il vero debole!
Unità dei cristiani, unità dei credenti, vocazione all’universalità, riconoscimento della libertà religiosa come condizione essenziale di giustizia, contrasto al terrorismo in ogni sua forma e blocco di ogni sostegno – finanziario, mediatico, militare – ai movimenti fondamentalisti, promozione di politiche di sviluppo integrale nel Sud del mondo: queste le priorità del Papa che, da vero mediatore, accetta di spendersi totalmente, senza altro guadagno che la pace (nn. 279-280).
In nome di Dio, della dignità umana, dei poveri, degli ultimi, dei popoli oppressi, della libertà, della giustizia e della misericordia, il Papa e il Grande Imam si erano impegnati a portare avanti la cultura del dialogo e la conoscenza reciproca; ora tocca a noi credenti di tutte le religioni e donne e uomini di buona volontà accogliere la sfida della fratellanza universale, sull’esempio dei testimoni che ci hanno preceduto (n. 285, nel quale si riporta uno stralcio del Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi).
Non saremo soli: le preghiere che chiudono l’enciclica mostrano che ogni sforzo sarà ispirato, stimolato, donato, preceduto e confermato dal Dio creatore, Trinità d’amore, che ha effuso in tutti lo spirito dell’amore fraterno (n. 287).