Domenica di Pentecoste
23 maggio 2021
Vangelo di Giovanni 14, 15-20
Commento di suor Giulia Calvino, FMA
Oggi siamo di fronte ad una “pienezza spirituale”, ad uno spazio totalmente occupato, riempito dallo Spirito: uno spazio che è pronto a mostrare i miracoli della grazia di Dio. Oggi veniamo sospinti a ricercare i significati profondi dell’effusione dello Spirito e ancora una volta è la parola di Dio ascoltata ad aprire gli occhi del nostro cuore credente e a farci contemplare e gustare le grandi opere che Dio compie.
Il primo prodigio è la varietà e l’unità nella vita della Chiesa: colma di Spirito Santo, la Chiesa trova la sua singolare bellezza nel presentarsi al mondo (a Cristo lo Sposo, in primis, e a noi con lui) come segnata da una varietà e da un’unità che non si contrappongono, né sono estranee l’una all’altra, ma che si ritrovano connesse: una varietà che non è frantumazione e una unità che non è uniformità. Siamo chiamati a riconoscere ed ammirare la varietà come un bene, non una minaccia; una grazia, non un ostacolo, perché è destinata a rendere sempre più splendida l’unità. Siamo anche chiamati ad amare e a favorire l’unità, l’una e l’altra nella loro forza di incontro, di dialogo, di armonia, nella consapevolezza cioè che l’apporto di ciascuno è indispensabile per costruire unità.
Il secondo è indicato nella lettera ai Corinti: «e nessuno può dire: ‘Gesù è Signore!’, se non sotto l’azione dello Spirito Santo». È dunque lo Spirito che genera nel nostro cuore la fede in Gesù come il Signore, il Risorto che ha vinto la morte. La nostra fede pasquale è frutto dello Spirito: è lui che ci fa riconoscere in Cristo il principio della nostra speranza pienamente affidabile e del tutto incrollabile: ogni speranza umana è segnata da fragilità, debolezza, inconsistenza, inaffidabilità; solo quella che ci viene dal Risorto è assolutamente incrollabile: è speranza vera.
Infine, il prodigio della missione: «e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio», così dicono gli ascoltatori multietnici agli apostoli. Le lingue sono diverse, ma identico è il messaggio comunicato: sono le grandi opere di Dio, che si compendiano in Cristo morto e risorto. È grazie alla forza dello Spirito che gli apostoli e i discepoli si presentano a tutti – sino ai confini della terra – come testimoni di Gesù risorto e annunciatori del suo Vangelo.
Nella mia riflessione, però, sono stata soprattutto molto colpita dalle parole di Gesù: «Se mi amate…»: Gesù chiede di poter dimorare in quel luogo da cui tutto ha origine, in cui tutto si decide e che tutte le religioni chiamano «cuore». Non obbliga, non minaccia, né costringe; possiamo, in piena libertà, accogliere o rifiutare. Quando accettiamo di osservare i suoi comandamenti, ecco un ulteriore prodigio: è l’amore per Gesù che dà energia e ci fa amare non per dovere, ma come espansione verso l’esterno di una forza prorompente, che già preme dentro e che è l’amore di Dio.
Conoscendo l’animo nostro, ecco che ci rassicura: «Non vi lascerò orfani»: questa promessa squarcia la solitudine che tante volte sperimentiamo, dissipa quelle emozioni forti che a volte oscurano il cielo sopra la nostra testa, quando ci sembra che il mondo giri in senso sbagliato. Questa promessa accade attraverso e per opera dello Spirito Santo, il grande «nascosto-e-sempre-presente», Colui che notte e giorno, in maniera sotterranea e silenziosa scava vie di luce, di libertà e di verità in noi e negli eventi della storia.
Lo Spirito Santo è come l’aria per la musica: attraverso di essa i suoni ci giungono e ci riempiono di gioia. Senza questo invisibile ponte, la musica sarebbe una bellezza muta, chiusa in se stessa. Sottile brezza o vento gagliardo, si manifesta sempre consolatore e rigeneratore, fa scorgere vie di salvezza quando tutto sembra perduto. Ha guidato i nostri Fondatori a compiere gesti che si potrebbero dire temerari, fuori di ogni logica e di ogni schema. Tutto questo è stato ed è ancora possibile quando ci si affida alla sua Guida.