Di Paola Bergamini
«Quello che ha detto mi è arrivato come se fosse vero. Anzi è vero», questa frase si ripete spesso nei messaggi inviati dai ragazzi a Daniele Mencarelli, dopo gli incontri sui suoi libri La casa degli sguardi e Tutto chiede salvezza, vincitore del Premio Strega giovani 2020. Dal primo lockdown di marzo ad oggi è “andato” in più di 300 scuole superiori di tutta Italia, incontrando oltre 10mia ragazzi. Tutto rigorosamente on line.
«Spesso mi capita nello stesso plesso di dover fare due turni. Ed è sempre una nuova avventura. È una partita aperta tra la mia e la loro libertà».
Proprio di libertà parlano gli insegnanti nella lettera pubblicata sul Corriere.
Esattamente. È la prima cosa che mi ha colpito. Spesso negli adulti c’è l’idea che i giovani abbiamo qualcosa in meno, e per il fatto di essere sempre attaccati al cellulare, al tablet, è difficile entrare in rapporto con loro. A questa obiezione rispondo che con i ragazzi è come spostare un velo di polvere perché fanno i conti con il mondo in cui vivono. Ogni generazione nasce con la profonda intenzione di scommettere sulla propria libertà, il problema è dell’adulto, di quello che offre, l’esempio che dà. E in questo, la frase, citata nell’articolo, di Pasolini dice tutto. Poi nell’esperienza di questi mesi, ho visto che in video questa libertà te la giochi di più perché la comunicazione del corpo è negata. Spesso da un punto di vista verbale devi arrivare a un corpo a corpo. È una questione di intensità.
In che senso?
Non bastano le belle parole, uno deve mettere nell’agone la propria vitalità, deve offrirgli un’intensità. In me i ragazzi vedono una persona che non ha paura di assecondare la propria vitalità. Io non sono un professore, non insegno una materia, propongo l’avventura della letteratura, ma partendo dal mio percorso umano.
Nei libri come negli incontri, scommetto sulla mia umanità. Mi metto alla prova sui loro stessi terreni.
Un esempio?
Per me l’amore va di pari passo con la perdita, perché lo vivo nel suo limite naturale che è la morte, la mancanza. E ai ragazzi dico: «Alzi la mano chi fra di voi, guardando la mamma, il fratello, la fidanzata non abbia assaporato anche solo per pochi istanti il dolore della perdita, del loro venir meno». Certo, sarei molto più contento di fare questi incontri in presenza, ma questa è la circostanza. È una scommessa più grande, come si vede dall’articolo. L’uomo è talmente grande che può fare dell’imprevisto, della difficoltà, un elemento di maggior slancio e di libertà.
L’“imprevisto” è la Dad per i professori e per te gli incontri sulle piattaforme.
In video i ragazzi ti provocano, lo dico in senso positivo. Su Zoom non manifestano solo il desiderio di conoscenza per cui hanno scelto di studiare, di intraprendere quel percorso scolastico, manifestano un bisogno. In momenti di difficoltà chiedono un certo tipo di “vigilanza”, cioè la trasmissione del sapere deve agganciarsi al momento contingente. Come in guerra, si fa lezione, ma va costantemente agganciata, al contesto. Poi devo aggiungere che, per alcuni, il video favorisce il rapporto. Sono adolescenti, l’età delle timidezze e dell’insicurezza verso il proprio corpo. Mostrare solo il viso, a volte nemmeno quello, permette di dire cose che forse dal vivo, in mezzo ai compagni, non avrebbero il coraggio.
Nei dialoghi con i ragazzi, qual è la domanda che ricorre?
Se ho rivisto i personaggi dei miei libri: i cinque matti del Tso, i compagni di lavoro del Bambino Gesù, la suora. Perché sono così importanti, così risolutivi per il protagonista. È connaturato in loro il presentimento che sia l’altro a portare nella nostra vita la sorpresa che la cambia. Che l’altro mi salva, mi fa crescere. Questo riaccende in loro la possibilità di una fiducia nell’altro, fino al perdono.
In fondo, mi sembra che stiano parlando dell’amicizia.
Io dico dell’amicizia matura, che non è solo divertimento, ma che ti offre l’opportunità salvifica di parlare in continuità con quello che senti veramente. Li provoco dicendo: siete spavaldi, ma quello che vi fa più soffrire è che recitate con i vostri amici non dicendo quello che sentite nel profondo. Mentre il dono dell’amicizia è proprio questo: sentirsi in continuità con quello che sento, fosse anche la tristezza. Spesso in tanti mi scrivono o chiedono di intervenire dicendo che è proprio quello che cercano.
Mentre gli insegnanti cosa chiedono?
Ho incontrato tanti professori che hanno accettato la sfida della Dad e ci vanno fino in fondo. C’è chi ha quesiti più letterari, su chi sono stati ad esempio i miei maestri, e invece chi mi chiede: «Ma tu come fai? Quali sono le risorse su cui punti per dialogare con i ragazzi?». La mia riposta è sempre la stessa: l’intensità della mia vita. Certo, faccio esempi che sono attaccati alla loro vita, ma è questo che vale. Gli dico: non ho ricette. Dono ai ragazzi me stesso, quello che vivo, la verità di me.
Fonte: clonline