di Giuseppe Frangi
Fatou, “afro romana”, è la protagonista vera del cortometraggio che ha vinto l’Integrazione Film Festival 2020 di Bergamo. Il regista, Amir Ramadan, è italiano di origini egiziane. «Lottiamo tutti i giorni per far sentire la nostra voce. Questo premio per noi», ha detto il regista ritirando il premio.
Storie di integrazione tra diversità, ricerca della propria identità, conflitti interni e col mondo di fuori. IFF – Integrazione Film Festival racconta questo: storie di persone alle prese con se stesse e con gli altri, nate “altrove” o “qui” e spesso portatrici di molte culture allo stesso tempo. Storie fatte di immagini perché il cinema ha la capacità di arrivare prima, diretto, agli occhi e alla mente di chi guarda.
Il Festival cinematografico si svolge a Bergamo e sabato si è conclusa la 14esima edizione, per la prima volta sia in sala che in streaming: per quattro serate un doppio pubblico, obbligatorio in tempi di pandemia, quando i cinema possono contenere poche persone. Una limitazione che ha rivelato lati positivi: se normalmente in sala potevano entrare 300 persone, questa volta sono stati più di 700 gli spettatori quotidiani. Persone dal mondo, anche, qualcuno ha scritto di essere collegato dalla Turchia, dalla Germania, dagli Usa. Sul grande schermo i film, arrivati da diversi paesi, in buona parte opere di registi dalla doppia appartenenza: nati e cresciuti in un luogo ma figli di famiglie di “altrove”.
Le cosiddette seconde generazioni. Ne fa parte Amir Ramadan, nome d’arte Amir RA, trentenne regista italiano di origini egiziane che si è aggiudicato il premio per il Miglior cortometraggio con I am Fatou, ritratto profondo e potente di una ragazza afro-italiana. Fatou, che ama la musica e canta, che preferisce definirsi “afro-romana” (la colonna sonora del film è lei stessa che canta l’omonimo motivo con voce intensa – resta in testa per ore) e che in ogni momento della sua vita ha una battaglia in corso. In casa la madre pretende che impari ad essere la donna che vuole la sua cultura tradizionale; la sgrida continuamente in wolof, lei risponde in romanesco. Fuori da casa ha le amicizie che tutti i ragazzi e le ragazze hanno: senza distinzioni di colore, unite da divertimento, primi amori, desideri per il futuro. Ma per strada incontra ostilità, le capita di essere aggredita: «Torna al tuo paese», «è questo il mio paese» risponde con rabbia. Fatou cerca, si cerca, non perde la fiducia. È quello che fanno molti dei registi e delle registe di IFF.
La Menzione speciale della giuria è andata al corto Vitiligo dell’afro-francese Soraya Milla: «Il colore della mia pelle… sono ondate continue di dubbi», ha detto collegata da Parigi. «Quando sono in Africa lotto per essere abbastanza nera, in Europa misuro la melanina che mi porto addosso. Chi sono davvero?». La doppia identità, il tema che indaga Amir RA: «Racconto le vite dei ragazzi di seconda generazione e facendolo cerco me stesso. Al centro ci sono sempre le identità plurali».
Amir è arrivato a Milano con la madre quando aveva un mese, il papà già viveva in Italia da anni. Dal 2010 lavora a Roma e persino il suo accento è pluri-identitario: leggermente romano, leggermente lombardo. Ha studiato in Italia e al Cairo, fa cinema da anni, è cresciuto sotto l’ala del direttore della fotografia Marco Onorato. La sua ricerca continua, con un riconoscimento in più: «Sono felice di questo premio perché IFF riassume al meglio il motivo per cui ho deciso di realizzare questo corto», ha detto sul palco di IFF. «Fatou rappresenta il volto di tutti noi, ragazzi di seconda generazione che lottano quotidianamente per far sentire la propria voce. Questo premio è per tutti noi».
Fonte: Vita