Di Sara De Carli
Dal 19 al 22 novembre torna Educa, il festival dell’educazione. L’edizione 2020 sarà prevalentemente online e mette a tema il “riemergere dall’esperienza Covid”. Un titolo stonato, in questo momento di crescita dei contagi? Niente affatto: «il senso del “riemergere” è l’invito a non vivere passivamente il presente, in educazione. Il nostro compito? Far sì che i figli non sviluppino sensi di paura. Stare a distanza non significa non uscire di casa e non parlare con nessuno»
“Futuri Anteriori. Riemergere dall’esperienza Covid”: così hanno intitolato l’undicesima edizione di Educa, il festival dell’educazione. Riemergere. Un verbo necessario perché «il senso del riemergere è l’invito a non vivere passivamente il presente, rispetto ai temi dell’educazione che sono i nostri temi, con una riflessione di livello top down e bottom up». Così Paola Venuti, direttrice del dipartimento di psicologia e scienze cognitive dell’Università di Trento e coordinatrice scientifica di Educa, pennella la cornice di senso di un evento che quest’anno non invaderà la città di Rovereto, ma certamente comunque la animerà. Dal 19 al 22 novembre (qui il programma) si parlerà di scuola, di educazione, di fragilità e di famiglie con tanti appuntamenti online, già avviati da “Aspettando Educa” e con il programma parallelo di “Educa Immagine”. «Un’edizione ridotta ma che ha una grossissima importanza perché ci porta a diventare protagonisti di questo momento e a non a viverlo passivamente».
Questi i pilastri della riflessione: la scuola, «con l’aspetto positivo che il Covid-19 ha messo in luce le falle del nostro sistema educativo. Da qui occorre ripartire. Inoltre tutti ora hanno evidenza di quanto gli studenti alla scuola ci tengano». È il secondo pilastro, quello che «ha cambiato un po’ finalmente anche la nostra visione dei giovani. Si può fare molto più leva su di loro per migliorare la scuola», sottolinea Venuti. Non a caso Educa apre proprio con loro, giovedì 19 novembre: accompagnati da esponenti dello Slam Poetry, i ragazzi racconteranno in poesia la loro esperienza della pandemia. Terzo pilastro, la famiglia: «due mesi insieme ai genitori, con più calma, è stata un’esperienza molto positiva per i bambini più piccoli. Per i genitori è stato un momento di stress ma meno di quanto si pensasse, come mostrano i dati raccolti da un’indagine che presenteremo. La criticità maggiore – ed è il quarto tema di attenzione – riguarda le fragilità, la disabilità, gli alunni con BES che sono stati dimenticati e su cui ora dobbiamo fare grossi investimenti per garantire quell’inclusione che è un punto di forza della nostra scuola».
Che cosa significa non vivere passivamente il presente?
Intanto partecipare, prendere parte ai dibattiti come questo, portare idee, esprimere quando si è in disaccordo. Il confronto è fondamentale. Non possiamo limitarci a stare a sentire.
Tutti diciamo che vanno messi al centro i ragazzi, ma poi è difficile vedere che succede. Non li ascolta nessuno.
Far partecipare gli studenti è al contrario proprio quello che va fatto, sono la nostra forza. Non mi piacciono queste accuse contro i giovani, come se fossero i colpevoli della situazione attuale. Loro sono l’elemento per riuscire a cambiare la società. Hanno una grande capacità di pensare, di riflettere, vanno educati a pensieri critici e vanno aperti spazi perché loro si possano esprimere. Due cose che il nostro sistema educativo non ha fatto: non ha chiesto di criticare e esprimere, ha chiesto di imparare e adeguarsi. Il Covid ha rotto lo schema. La Dad potrà fare bene in questo senso, perché obbliga a non portare avanti lo schema vecchio della lezione che quelli che oggi sono insegnanti hanno visto quando erano alunni. Lo vedo in università: come è bello insegnare quando hai 200 domande arrivate dai ragazzi stessi e la lezione è rispondere a quelle loro domande… Questa ottica diversa si è aperta finalmente. E anche i ragazzi hanno cominciato a fare gruppo per apprendere, a costruire insieme conoscenza.
Noi famiglie abbiamo visto svanire da un giorno all’altro tutto ciò che era importante nell’educazione: la scuola, lo sport, gli scout, la musica, il gruppo… Ovvio che non si può dire “torniamo come prima” ma nemmeno possiamo dire che “senza fa lo stesso”…
La sfida per i genitori è tornare a riappropriarci del nostro essere genitori. Ascoltare, seminare occasioni di cose belle da fare insieme, fare proposte di lettura, di ascolto, di film… e lasciare però anche del tempo ai ragazzi. Noi avevamo occupato di attività tutto il tempo dei nostri figli e con il lockdown ci siamo sentiti in colpa e abbiamo pensato ancora una volta che il nostro dovere fosse quello di intrattenerli continuamente. Non è così. Il nostro compito è far sì che i nostri figli non sviluppino sensi di paura, che non smettano di stare fuori. Perché stare a distanza non significa non uscire di casa, non vedere nessuno, non parlare con nessuno. Anche sul tema dei tanto condannati videogiochi… non sono sempre un male. Dobbiamo stare attenti a indirizzare verso un uso adeguato: sarei scoraggiante al massimo nei confronti dei videogiochi individuali mentre dico sì a quelli in cui si gioca in gruppo ma online, perché anche lì si sviluppano tante compentenze. Può annoiarci sederci accanto ai nostri figli mentre giocano con un videogioco… ma anche lì dobbiamo entrarci dentro.
Fonte: Vita