Di Simone Baroncia
Nella prima domenica dell’Avvento ambrosiano, in duomo, è stato il vicario generale, mons. Franco Agnesi, a presiedere la Celebrazione eucaristica, in sostituzione dell’arcivescovo, mons. Mario Delpini, che, pur asintomatico, era ancora in quarantena.
Ed è proprio all’arcivescovo Delpini che mons. Agnesi fa riferimento, in apertura della sua omelia, richiamando l’appuntamento di preghiera ‘Il kaire delle 20.32’ che ogni sera, per tutto il periodo dell’Avvento, vedrà l’arcivescovo entrare virtualmente nelle case attraverso il portale della Diocesi, i suoi social, la televisione (ChiesaTv, can 195) e la radio:
“L’Arcivescovo non nasconde la preoccupazione che noi ci lasciamo intrappolare dallo sguardo su racconti di dissesto, parole di discredito, aggiornamenti sui crolli della fiducia, della stima, della speranza. Per questo ci invita a leggere le profezie”.
Il saluto è stato rivolto anche a chi ha seguito la Messa collegato da casa, in famiglia: tutti coloro ai quali il Vicario generale suggerisce di approfondire il testo della Diocesi ‘A occhi aperti’:
“Occhi aperti di un papà, di una mamma che spezzano il pane della Parola di Dio con i loro figli; occhi aperti di ragazzi e ragazze che cantano il loro ‘con Te’ a Gesù nel’intimità della loro casa, con l’amore ricevuto nella preghiera; occhi aperti, non solo su immagini trasmesse, ma, prima di tutto, sulla carne reale di uno sposo, di una sposa, di figli piccoli e grandi, di nonni e di nonne, di quanti (poveri e più vulnerabili) guardiamo con la tenerezza della carità, pregando per loro”.
Mons. Agnesi ha sottolineato tre indicazioni della pagina evangelica di Marco:
“Non lasciatevi ingannare da allarmisti e sfruttatori delle vostre ansie. L’inganno più grande è quello di pensare che nel nostro tempo non ci sia più spazio per la speranza e l’amore.
Proprio dove il male e la morte pretendono di avere l’ultima parola, possiamo avere gli occhi aperti per vedere i segni del Vangelo che aprono al coraggio, alla misericordia, alla testimonianza di chi abbrevia e alleggerisce il peso di situazioni difficili.
Abbiamo gli occhi aperti sul Vangelo, per essere solidali, per gareggiare nello stimarci a vicenda, come scrive san Paolo, per immaginare un’economia che non scarta. Quanti di voi stanno facendo il bene e servendo nella professione, in casa, nell’amministrazione pubblica e nella politica”.
In conclusione il vicario ha richiamato un canto della tradizione ambrosiana:
“Gesù ci dice che il gesto dell’amore rimane e non andrà perduto. Sentiamoci incoraggiati dal Signore a iniziare così questo tempo, a essere sapienti, liberi e docili alla voce dello Spirito imparando nella preghiera ad ascoltarlo e a fare il bene che possiamo con fiducia e libertà di cuore.
Forse un impegno possiamo prenderlo: se ci viene la tentazione di chiudere qualche spiraglio di luce, dicendo che tanto non cambia niente o accusando qualcuno, fermiamoci e lasciamo aperti piccoli spiragli che ci consentano di camminare nel tempo che il Signore ci dà e di viverlo con amore”.
E nella lettera per l’Avvento mons. Delpini ha scritto:
“L’Avvento è il periodo dell’anno che suggerisce di riflettere sul tempo, sulla dimensione temporale della vita umana. E’ una riflessione che contribuisce alla saggezza in molte esperienze culturali, anche se in modi diversi. Il libro del Siracide, che accompagna questo anno pastorale come testo biblico per ispirare percorsi di sapienza, invita a una saggia considerazione del tempo”.
Per l’arcivescovo ambrosiano l’Avvento è un tempo per leggere la storia con occhi ‘nuovi’:
“C’è motivo per riflettere, confrontarsi, conversare e condurre una verifica critica sul nostro modo di considerare e vivere il tempo. I cristiani guardano bene i giorni, precari e promettenti, opachi e gravidi di speranza, così che si ravvivi lo stupore per quel giorno benedetto che li illumina tutti.
Saremo capaci di considerare la storia, i suoi sussulti di sapienza e le sue deludenti insipienze, così che ancora ci sorprenda e ci rallegri il giorno santo di Gesù, luce e riposo per tutti gli altri giorni, capace di offrire pace?”
Nella lettera l’arcivescovo ha messo in guardia dall’idea che il tempo “sia nemico del bene: tutto quello che è bello, sano, forte è destinato a corrompersi nella malattia, nella debolezza, nella desolazione. Perché le conseguenze sono disastrose: lo scorrere del tempo induce a pensare che sia sottratto alla libertà e la persona sia piuttosto vittima che artefice delle circostanze.
Allora l’amore è come un fuoco, destinato a spegnersi; ogni fedeltà appare un’inerzia più che un intensificarsi della dedizione e della fecondità; l’esperienza e la competenza sono patrimoni che perdono rapidamente valore, il progresso le dichiara presto antiquate”.
Fonte: korazym.org