Di Paola Belletti
Perché questo tempo non è solo “il tempo del Covid” è soprattutto il presente, il solo che ci è dato a disposizione e l’unico nel quale nutrire e curare le relazioni con le persone che amiamo. In una RSA a Castelfranco Veneto hanno realizzato una stanza che in tutta sicurezza consente a familiari e ospiti anziani di vedersi, stringersi le mani, abbracciarsi.
Vedersi soltanto non basta
Guarda, mi basta solo sentire il calore della vostra pelle..
(Antennatre 0.51)
Così disse la mamma anziana alla figlia che era andata a trovarla quest’estate, quando i familiari nella RSA in cui è ospite si potevano incontrare ma soltanto all’aperto e restando distanziati, senza contatto. Episodi simili raccontano altri intervistati, tutti visibilmente commossi.
Ma come, non ci si poteva accontentare di vedersi? No, in fondo non si può e non è giusto. Certo, piuttosto di nulla meglio quel poco. Eppure essere privati del contatto stretto, delle carezze, degli sguardi ravvicinati, degli odori, dei suoni e del calore che rilascia un abbraccio tra una madre e la figlia, tra un marito e una moglie, tra nipoti e nonni, è una privazione a tutti gli effetti. Siamo fatti per avere tutto, siamo fatti di relazioni, e le relazioni di qualità, quelle che conoscono l’intimità vera dell’affetto e della vicinanza, hanno bisogno anche del senso del tatto e di distanze ridotte. Una delle tante rivoluzioni provvisorie portate dall’esperienza della pandemia è sulla nostra reciprocità nello spazio, sulla prossemica. Ma non disperiamo, è anch’essa fa viversi come protezione di un bene maggiore anche se non può essere sacrificata del tutto.
Accorciare la distanza senza diminuire la sicurezza
In una RSA veneta, la Domenico Sartor di Castelfranco Veneto in provincia di Treviso, si sono prodigati per ridurre ancora un po’ la distanza fisica e affettiva tra gli ospiti della struttura e i loro familiari. Entrambe le categorie ne hanno sofferto profondamente.
Servono ritmi e spazi più umani: forse la pandemia può ricordarcelo
Certo, in una società forse più equilibrata, sarebbe bello che tutti accudissero i propri genitori anziani a casa loro o a casa propria; sarebbe bello poter seguire da vicino chi si ama e chi ci ha amato per primo e per primo si è preso cura di noi. Realisticamente, lo sappiamo, ora a tanti non è possibile. Di sicuro sono tante le strutture gestite con competenza e amorevolezza che già prima del lockdown accudivano al meglio i numerosi anziani loro affidati. (Non sono per forza luoghi di un’eutanasia rateizzata, su, non si esageri…)
Poche cose ma importanti
La pandemia non ha soltanto acuito i problemi, ha anche permesso, in qualche caso e a chi ha voluto guardare, di rimettere a fuoco le poche cose che contano: le relazioni fondamentali, la necessità di luoghi e tempi per nutrirle, il bisogno che abbiamo di vicinanza e di ritmi che siano di nuovo umani.
Allora è bello che le RSA finiscano sui telegiornali non solo per i focolai di contagio fuori controllo, per scandali e gravi inadempienze.
Il progetto della stanza degli abbracci
Ecco come racconta il progetto, la sua realizzazione e i benefici che sta portando, la direttrice della struttura, Elisabetta Barbato:
Ci siamo organizzati con delle ditte specializzate, abbiamo pensato a un prototipo che nel giro di tre settimane è stato realizzato per consentire l’abbraccio non solo agli ospiti in carrozzina ma anche agli ospiti in piedi. Per i nostri ospiti non c’è nulla di più confortevole di un abbraccio…
(Antennatre, 2.10 ss)
E’ qui che sta la verità: non basta un abbraccio generico, serve un abbraccio vero, carico di storia, di affetto sicuro e familiarità.
Nel servizio si vede una scena dolcissima di una nipote, giovane donna, che abbraccia con forza la nonna. Certo, c’è l’impiccio del materiale plastico che le separa e le protegge, ma racconterà lei alle telecamere, “si riesce a sentire il calore della persona”.
Entusiasmo per l’iniziativa e desiderio di replicarla
L’iniziativa ha incontrato l’entusiasmo dei familiari e degli anziani del Centro Servizi alla Persona Domenico Sartor e ispirato i responsabili di altre strutture come anche sindaci e assessori di altre cittadine che vivono da mesi lo stesso dramma. Per il quale non si intravvede una soluzione in tempi rapidissimi.
Presto anche in altre Rsa – La stanza degli abbracci già funzionante a Castefranco Veneto presto potrebbe essere replicata in altre Rsa.
“Un’iniziativa che va assolutamente presa in considerazione – ha detto il vicesindaco Paolo Polidori – vanno valutate tutte le vie possibili per togliere da un dramma enorme le nostre persone anziane all’interno delle case di riposo. Questo anche perché le prospettive per il futuro non sono rosee. Già da mesi i parenti non possono visitare i loro cari e questo chissà per quanto tempo ancora. Ci adopereremo per trovare dei fondi, in sinergia con l’azienda sanitaria, la politica e tutte le parti coinvolte per dare sollievo ai nostri cari e alla situazione devastante in cui si trovano”.
(TGCOM24)
Per i nostri ospiti non c’è nulla di più confortevole di un abbraccio, conclude la direttrice.
La fame di contatto spiega chi siamo
Sono proprio gli anziani, come i bambini appena nati, a ricordarci cosa sia davvero fondamentale per la nostra vita. Ce lo ricordano loro perché sono in una fase in cui sono primariamente persone, solo persone e non i loro ruoli professionali, la ricchezza che possono produrre, il potere di cui dispongono. E come per i neonati la fame di contatto non soddisfatta può essere fatale così può esserlo per le persone che si avviano verso la fine dell’esistenza. Per questo ogni iniziativa che sia una specie di “corridoio umanitario” per ripristinare la “distribuzione” di questi beni è benedetta.
Fonte: Aleteia