Scuola, non chiudete le superiori

Di Alberto Pellai

Lo psicologo Alberto Pellai nel suo profilo Facebook interviene sull’ipotesi di utilizzare la Dad per gli studenti più grandi (una riflessione che raccoglie quasi 1500 condivisioni in 4 ore). «Come genitore credo davvero che i nostri ragazzi possono essere bel altro che diffusori del contagio. Possono diventare attori attivi della strategia di resistenza che non necessariamente veda nel lockdown l’unica modalità di essere attuata»

 

Un’ipotesi che alcuni hanno fatto per affrontare questa fase di emergenza epidemiologica dovuta alla recrudescenza dei contagi da Covid è stata “Chiudere le scuole secondarie di secondo grado”. Ovvero chiedere agli adolescenti – soprattutto quelli che frequentano gli ultimi anni delle superiori – di restare a casa da scuola, seguendo le lezioni a distanza. Di tutte le cose da fare, per me questa è l’ultima. Proprio l’ultima delle ultime.

La salute e il benessere degli adolescenti è fortemente dipendente dalla loro possibilità di vivere in spazi dove incontrano altre persone e socializzano. Chiuderli in casa come “i destinatari” delle misure più restrittive dell’intervento preventivo significa non coglierne i bisogni fondamentali, non rispettarne le esigenze evolutive. Direi invece che gli adolescenti dovrebbero essere resi protagonisti di questa fase critica. Dovrebbero essere incaricati di promuovere un progetto di educazione tra pari dove vengono coinvolti in modo attivo per promuovere tutte le norme di prevenzione che aiuteranno la nostra collettività ad affrontare questa fase critica in cui dobbiamo imparare a convivere con il Covid-19, in attesa che risulti disponibile un vaccino efficace.

Dobbiamo offrire loro la possibilità di partecipare ad iniziative di solidarietà e sostegno per persone fragili e vulnerabili di cui loro potrebbero diventare sostenitori e tutori con servizi che permettano a quelle persone fragili di non mettersi in condizioni di rischio. Dovremmo renderli attori di un modello di solidarietà collettiva in cui loro diventano testimonial attivi e promotori del rispetto delle regole che in questo momento sono di stringente utilità per costruire quello che sarà il destino di noi tutti, nelle prossime settimane. Insomma, dovremmo pensare che a loro, in questo momento, non è possibile chiedere di rimanere passivamente invisibili. Bensì l’esatto contrario: ovvero essere attivamente partecipi di un grande obiettivo della società di cui a breve diverranno cittadini ufficiali con diritti e doveri. Il problema è che nelle nostre città per gli adolescenti gli spazi dove aggregarsi, fare gruppo, coltivare progetti, perseguire obiettivi di crescita non esistono.

La scuola per loro non è solo il luogo della formazione, ma è anche il luogo dove incontrano i loro pari in carne ed ossa. Dove vivono la dimensione relazionale nel reale, elemento fondamentale per la loro salute emotiva e psicologica. Qualsiasi cosa succeda nelle prossime settimane, in questo “giro” dovremmo davvero avere una visione più competente dell’adolescenza e investire sulle competenze dei giovanissimi. Invece di raccontarli solo come “attori” di una movida, offriamo loro la possibilità di essere pensati come soggetti che hanno competenze reali da spendere nel mondo reale. E da non sacrificare nell’invisibilità di un lockdown selettivo di cui dovrebbero essere, secondo alcuni, gli sfortunati prescelti.

Come genitore credo davvero che i nostri ragazzi possono essere bel altro che diffusori del contagio. Possono, rispettando tutte le norme di prevenzione, diventare attori attivi della strategia di resistenza che non necessariamente veda nel lockdown l’unica modalità di essere attuata. I vostri figli sarebbero in grado di aderire a questa proposta?

 

Fonte: Vita