30 agosto 2020 – Anno A
Vangelo di Luca 9,7-11
Commento di suor Patrizia Colombo, FMA
Erode è perplesso, non sa cosa pensare e cerca di vedere questo Gesù. Ma davvero cerca di vederlo? E come mai non lo trova? Eppure i discepoli sanno dove trovarlo, tant’è che, dopo aver girato la Palestina ritornano a lui per raccontargli cosa hanno vissuto.
Anche la folla sa dove trovare Gesù, tant’è che lo segue, anche se Gesù cerca di ritirarsi in disparte, lo trova e si ferma con lui. Possibile che Erode, il grande re, non sia stato capace di trovarlo? No, il Vangelo ci conferma solo che Erode cerca di vederlo, ma la sua perplessità e la sua ricerca però si fermano a palazzo. Che strano!
Ma era dunque una vera ricerca?
Già un suo antenato si era comportato più o meno allo stesso modo, quando aveva sentito parlare della nascita di un nuovo re. Era incuriosito, anzi “turbato” precisa il Vangelo di Matteo, di certo temeva per il suo trono, ma non si era scomodato per andare di persona, aveva invece commissionato le notizie a dei Magi. Si era poi scoperto che la sua non era una ricerca onesta, che non cercava davvero di conoscere Gesù per rendergli onore, il suo cuore era invece guidato dalla gelosia e della sete di potere, unite alla paura di perdere terreno. E, di fatto, Gesù lui non lo aveva trovato, perché i Magi tornarono per altra strada. (Mt 2,3-8)
Finale diverso invece per Zaccheo, il capo dei pubblicani. Anche lui cercava di vedere Gesù, forse anche lui per curiosità, visto che tutti ne parlavano. Lui però non era rimasto in casa a pensare, si era scomodato arrampicandosi su un albero e perdendo anche la faccia davanti a tutti. Ma in questo modo Zaccheo aveva davvero trovato Gesù, o forse, sarebbe più corretto dire, che si era lasciato incontrare da Gesù, tant’è che la sua vita, da quell’incontro, era totalmente cambiata, senza che Gesù peraltro dicesse nulla, se non si conta l’autoinvito a cena a casa sua. (Lc 19,1-10)
Venendo più vicino alla nostra realtà salesiana, c’è un altro episodio simile a quelli narrati dal Vangelo, che parla della ricerca e del mettersi in gioco in prima persona per ciò che si capisce essere importante:
“Accadde nel 1864, [a Mornese] quando don Bosco arrivò con i suoi ragazzi, durante le passeggiate autunnali che organizzava partendo da Torino e facendo tappa nei paesini delle colline della sua terra.
È già notte. La gente va incontro ai ragazzi. La banda suona, molti s’inginocchiano al passaggio di don Bosco chiedendo la benedizione. I giovani e la gente entrano in chiesa, c’è una piccola celebrazione, quindi tutti a cena. Dopo, incoraggiati dagli applausi, i ragazzi di don Bosco danno un breve concerto di marce e musica allegra. In prima fila c’è Maria Mazzarello, 27 anni, che in piemontese si dice Maìn. Al termine, don Bosco dice poche parole: «Siamo tutti stanchi, e i miei ragazzi hanno voglia di fare una bella dormita.
Domani però ci parleremo più a lungo». Don Bosco a Mornese si ferma cinque giorni. Maria ogni sera riesce ad ascoltare la «buona notte» che dà ai suoi giovani. Scavalca le panchette per arrivare più vicino a quell’uomo.Le comari del paese scuotono la testa e brontolano: «Questo non va bene!» Quella ragazzona in mezzo ai ragazzini, ma chi l’ha mai visto? Qualcuno la rimprovera di questo come di un gesto sconveniente.
E lei risponde: «Don Bosco è un santo, io lo sento». È molto di più di una semplice sensazione.
A quante donne cambierà la vita? Basta un movimento, un semplice movimento di quelli che compiono i bambini quando si slanciano in avanti con tutte le loro forze, senza timore di cadere o di morire, dimentichi del peso del mondo. Giovanni e Maria Domenica amano dello stesso amore, sono fatti per intendersi, nutriti dalle stesse colline. Due contadini dell’assoluto”.
(Bollettino Salesiano – sett. 2018)
Prima di mettere in luce un nesso tra tutti questi brani citati, mi permetto di sottolineare ancora due piccole sfumature del brano del Vangelo di oggi.
I discepoli tornano da Gesù e stanno con lui, gli raccontano la vita, gli parlano di tutto quello che hanno vissuto andando in giro per la Palestina. La folla va da Gesù e lui la accoglie, parla alla gente e guarisce chi ha bisogno. In poche righe, abbiamo un concentrato della vita di un cristiano: incontrare Gesù è iniziare a raccontargli di noi, parlargli della vita che viviamo, delle persone che incontriamo, di quello che facciamo e proviamo. E Gesù ascolta, accoglie, ci prende in disparte con sé. E allo stesso tempo, incontrare Gesù è scomodarsi, mettersi in cammino, andarlo a cercare di persona e lasciarsi guarire da lui, presentargli i nostri bisogni, però è anche imparare da lui cos’è l’accoglienza per chi soffre, cos’è la carità, cosa vuol dire essere persone che si lasciano incontrare.
Papa Francesco ha commentato questo brano di Vangelo e mi sembra le sue parole che ci aiutano a far diventare questo brano di Vangelo vita per noi oggi:
«Non si può conoscere Gesù senza avere problemi». Gesù non si può conoscere «in prima classe» o «nella tranquillità», tantomeno «in biblioteca».
Gesù lo si conosce solo nel cammino quotidiano della vita.
Lo si può conoscere «anche nel catechismo. È vero! Resta comunque il fatto che anche la conoscenza di Gesù attraverso il catechismo «non è sufficiente»: conoscerlo con la mente è già un passo in avanti, ma «Gesù è necessario conoscerlo nel dialogo con lui. Parlando con lui, nella preghiera, in ginocchio. Se tu non preghi, se tu non parli con Gesù non lo conosci».
C’è infine una terza strada per conoscere Gesù: «È la sequela, andare con lui, camminare con lui, percorrere le sue strade». «Non si può conoscere Gesù senza coinvolgersi con lui, senza scommettere la vita per lui».
(da: L’Osservatore Romano, 27/09/2013 – omelia di Papa Francesco del 26 sett. 2013)