RSA – Una quotidianità viva

da | 27 Apr 2020 | Giovani

RSA – Una quotidianità viva

da | 27 Apr 2020 | Giovani

Di Riccardo Deponti

 

Leggevo sui giornali di questi giorni di come le RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale) siano finite al centro delle cronache. Certo, in questo periodo colpisce e lascia (o dovrebbe almeno un minimo lasciare) sbigottiti sapere come le persone più fragili siano colpite in modo repentino, tragico. Tante morti, troppe. Spesso in silenzio, lontano dai propri cari che non hanno potuto salutare. Fa tristezza. Per queste persone niente andrà bene. Per i loro parenti, conoscenti niente andrà tutto bene.

Parallelamente, nelle strutture, la quotidianità deve comunque andare avanti. L’assistenza agli anziani pure. Magari con difficoltà, sacrifici, modifiche di programmi sia degli ospiti che degli operatori. Operatori che non sono in prima pagina, non ricevono ringraziamenti sui giornali, saluti ufficiali. Ma ci sono, cercano di coprire i buchi nelle emergenze, nelle assenze, superando la stanchezza fisica e mentale.

Sono un Terapista Occupazionale e lavoro in una Rsa.
E vorrei raccontarvi che la quotidianità va avanti. Una quotidianità diversa. Ma una quotidianità viva.

Perchè da quel 21 Febbraio tutto è cambiato. Da diverse settimane gli ospiti non vedono i parenti, gli amici, i volontari.
La loro routine quotidiana è cambiata. Insieme alla nostra. Ci si organizza giorno per giorno, a volte anche mezza giornata alla volta per poter garantire un minimo di benessere. Organizzarsi nelle videochiamate coi parenti, organizzare momenti di terapie individuali o in piccolissimi gruppi, attività animative per “riempire” il vuoto delle assenze e delle lontananze dovute in questo periodo. Oltre a garantire l’assistenza di base.
Ci si ritrova a cantare “Romagna mia” o “La Madonnina” durante la merenda; a fare giochi di memoria e giochi motori, a cercare di trovare le notizie positive nei giornali (con molta difficoltà), ad ascoltare i loro racconti del passato, delle loro esperienze autentiche, vissute.

Anche la mia routine giornaliera tra terapie e attività è cambiata.

Imboccare, aiutare ai pasti, rimanere ad ascoltare le persone. E forse mi ha avvicinato maggiormente a queste persone (o ragazze/ragazzi come chiamo affettuosamente alcune/i di loro riuscendo a strappare un sorriso) e ai colleghi, qualunque sia la loro mansione e ruolo.
Incrociare lo sguardo mentre aiuti ad imboccare, cantare insieme canzoni del passato con persone che parlano poco o hanno problemi di demenza (insieme agli altri ospiti), asciugare una lacrima (a volte anche su me stesso) durante una videochiamata con l’anziano che non riesce a parlare dall’emozione. O aiutarsi tra operatori, scambiare due parole tra noi, farci forza.
A volte basta poco. Due chiacchiere, una canzone, un momento insieme tra un pasto e l’altro, tra un cambio e l’altro. E riesci a garantire quel benessere che queste persone ora hanno bisogno. A farle stare bene, in questa strana quotidianità che rischia di essere ripetitiva, certo. Ma che a volte riesce ad esprimere aspetti che nella normalità forse non sarebbero emersi, un relazionarsi in modo più intenso (nel bene e nel male).
Una quotidianità fatta, tra le mille difficoltà, di lacrime, consolazione, ascolto, sorrisi veri, che partono da dentro. Una quotidianità viva.

Ma anche faticosa. Non si può negare. Ma siamo qui per loro.

Tutto questo non vuole cancellare le notizie dei giornali, le morti, la sofferenza presenti nelle strutture. Vorrei solo tentare di lasciare due righe positive in mezzo le notizie drammatiche, sperando di poter lasciare un seme di positività. Di quotidianità VIVA.