Porto la comunione ai malati più soli

Porto la comunione ai malati più soli

Di Paola Belletti

Si chiama Cristiana Forni, da 38 anni è in forza al Rizzoli di Bologna, clinica ortopedica d’eccellenza. Di fronte alla prova dell’emergenza contagi da coronavirus si è trovata spiazzata e scoraggiata. “Era come arginare il mare con le mani”, racconta a Buongiorno Regione del TGR Emilia Romagna. Fino a che non ha scritto al Card. Zuppi: noi non possiamo arrivare così vicino ai malati, allora vai tu. Guardate cosa sta fiorendo da un piccolo sì.

 

Il suo lavoro prima dell’emergenza e ora in piena pandemia…
Ci diamo del tu che facciamo prima?

Ci sto. Il tuo lavoro: come è cambiato? Si tratta solo di intensità diversa?
È cambiato totalmente, assolutamente.

Per trent’anni sono stata capo sala chemioterapia, poi un po’ di anni nella ricerca dietro le quinte ad aiutare i fisioterapisti e gli infermieri, a lavorare in maniera scientificamente più solida. In più da un po’ assisto anche la mia mamma che è molto anziana. Proprio la domenica precedente, pochi giorni prima, avevo deciso di chiedere lo smart working, e la sera stessa ne ho parlato con la mia casa (vive con altre otto persone consacrate secondo il carisma di CL nell’associazione laicale dei Memores Domini  il cui ambito di apostolato è il lavoro, NdR): lavorare in un posto dove ci sono dei rischi tanto alti insomma non era più così praticabile.

Gli argomenti ci sono e sono ragionevoli insomma 
Fino a che è arrivata la mail della mia capa: “Aiuto, ho bisogno anche di te”. E così  ho pensato che fosse una circostanza inevitabile. Noi come ospedale piccolo, mono specialistico (Lo IOR, Istituto Ortopedico Rizzoli, è una clinica specialistica ortopedica, punto di riferimento nazionale ed europeo NdR) speravamo di essere preservati, che ci saremmo dovuti limitare a farci carico dei pazienti ortopedici dirottati anche da altri ospedali. Invece no, siamo stati coinvolti in pieno. E allora abbiamo dovuto imparare a fare i tamponi, e soprattutto a mettere in piedi il controllo, la sorveglianza dei pazienti Covid+ e dei dipendenti a rischio. Ci siamo trovati in un gruppetto sparuto, che prima lavorava in altri posti, catapultati in questa emergenza; il mio ufficio è diventato una centrale Covid.

E come avete reagito soprattutto all’inizio?
È una cosa così enorme, così spaventosa, le persone sono molto disponibili ma anche molto spaventate. C’è questa combinazione di generosità ed escandescenze immotivate. Ma ascoltando tutto quello che stava dicendo il Card. Zuppi e il Papa stesso, sullo stare vicino ai malati, ecco io pensavo con ammirazione a quelli che potevano stare dentro i reparti Covid, a diretto contatto con quei pazienti; pregavo per loro, per quelli che potevano essere a fianco dei moribondi, ero molto grata di questo, ero tutta compresa da questo pensiero, partecipavo sinceramente…da lontano, prima. Ma un conto è il desiderio, un conto è la realtà! Quando mi sono trovata io di fronte a tutto questo, dopo soli pochi giorni ho provato un profondo scoramento, era tutto troppo: la realtà ti mette a nudo. Pensi di essere in un certo modo e ti scopri ben più misera. E mi sono chiesta: ma io l’altro come lo guardo? Mi sono quasi scandalizzata della mia miseria. Sentendo Zuppi che parlava mi è stato tutto più chiaro.

A cosa ti riferisci in particolare delle parole del vostro Arcivescovo?
Ripeteva spesso: “Il contrario della paura è l’amore”. E anche che questa è una situazione terribile e che bisognava pregare tanto per gli operatori sanitari. E così, ricordandomi delle sue parole mi sono sentita fortemente supportata perché Sua Eminenza è totalmente dentro il dramma.

Nel servizio sul TG regionale grazie al quale ho incontrato la tua testimonianza racconti di uno scambio diretto, di una corrispondenza tra te e Mons. Zuppi
Sì. Ho trovato la sua mail (l’ho cercata, volevo scrivergli direttamente!) e gli ho scritto tutto: che era durissima, che speravo di fare chissà cosa e invece mi trovavo ad essere parte del problema. E lui mi ha risposto subito! E al rosario ha letto il mio messaggio. Che poi io mi vergogno, non sono abituata….non amo essere messa in mostra.

E cosa ti ha detto, come ti ha tirato fuori dal tuo scoramento?
Mi ha scritto: “Il Papa sono anni che dice che siamo un ospedale da campo e non ci credevamo. È un’umiliazione benefica” e ha aggiunto che ora è tempo di fare le cose grandi che ci chiede la realtà con i nostri poveri mezzi. Mi ha aperto gli occhi.

E cosa hai visto che prima non vedevi?
Il giorno dopo sono entrata in reparto Covid e sono andata da questa signora anziana; lei mi ha detto che aveva tanta sete. Bisogna sapere che il lavoro di cura di pazienti Covid è fatto soprattutto di assistenza molto tecnica, e prevede che si stia pochissimo con loro, quindi rimangono a lungo da soli. Io ho preso il bicchiere e le ho dato da bere e lei mi ha detto “Mi hai salvato la vita!”. Sono così una bestia, così limitata….lo vedo e lo tocco, è evidente!

Cosa?
Che a questa signora non sono arrivata io ma Lui, il Signore! Non ti puoi illudere di essere tu, non sei tu che sei buona. Ecco: non è che diventi più buono ma sei più attento, più capace di renderti conto.

Volevo chiederti qualche episodio e incontro significativo ma la tua esperienza è proprio questo: una serie di incontri!
È pieno di episodi, esempi, incontri, piccoli ma con un significato enorme. Sono entrata da un signore anziano e come faccio sempre mi presento, dico che sono un’infermiera e non sono un marziano – siamo tutti bardati da capo a piedi, non siamo proprio belli da vedere. Lui è il Signor Giancarlo: gli dico che devo fargli il tampone. Lui mi fa un sorriso, legge il mio nome e dice:

Cristiana. E quindi ci crede?

E quindi lo sa dire tutto il Credo?

E ha iniziato lui:

Credo in un solo Dio, padre onnipotente…

ci siamo incartati qualche volta ma siamo arrivati alla fine e dopo si è rimesso la mascherina (con l’ossigeno, Ndr). Allora ho scritto di nuovo a Zuppi, perché non volevo dirgli solo le cose negative, ma raccontargli quel che stava succedendo dopo il nostro primo scambio. E lui mi ha detto: “Valeva la pena anche solo per incontrare lui. Ti autorizzo io a portare la comunione, perché a noi, ai cappellani non lo permettono“. Tutta questa mia debolezza…. e la possibilità di essere un tramite. Ma quanto è geniale quest’uomo! E gliel’ho detto:

Lei è un genio!

Scrivo al cappellano del Rizzoli, come mi aveva indicato il Cardinale, e gli chiedo se possiamo incontrarci. Mi risponde con tono asciutto. Lo incontro ed era molto serio, allora gli dico:

Padre Lorenzo, ti ho offeso in qualche modo?

E lui:

Ma no. Però io sono un Camilliano! Il mio quarto voto è esser disposto a dare la vita per servire i malati. Sono andato ad Haiti a servire i malati di colera e qua non posso entrare…però se non lo permettono e Zuppi manda te allora io sono solo che contento.

Mi ha istruito, allora a quel punto –  lavoro da 38 anni lì! – mi rivolgo alla mia collega, la caposala del reparto Covid:

Betta devo dirti una cosa! Guarda Zuppi mi ha scritto: vai tu! Ci sono per tutti e se qualcuno chiede a qualsiasi ora chiamami. Però sappi che posso dare la comunione e benedire. Non altro.
Però se puoi anche benedire, puoi iniziare a benedire noi?,

mi ha detto la Betta.

Ma volentieri! Aspetta un attimo però: ragazzi la Cristiana ha avuto il permesso da Zuppi di dare la benedizione. Chi vuole?

E sono usciti tutti! Sono infermieri e ausiliari con cui lavoro da una vita.

Credenti e non?
Per darti un’idea: a me hanno dato la felpa dell’ospedale col numero 33, gli anni di Cristo, perché sono fra i pochi cattolici praticanti. Li ho guardati, tutti vestiti da marziani, e ho detto:

Non sono io che benedico, ma tutta la chiesa! E’ il card. Zuppi che ha chiesto di portarvi la benedizione della Chiesa.

Dico “ci benedica….”, recitiamo insieme un Padre Nostro. Ci siamo benedetti.

Ma io mi chiedo: quanto bisogno c’è, che sete, quanta ce n’è, magari inespressa!?

E la distribuzione della Comunione? Nel servizio che ho visto racconti alla giornalista che eri avevi appena portato l’Eucarestia a una paziente, la signora Marta…
Aspetta, non è finita. Un’infermiera e due medici sono in guardiola: l’infermiera mi chiede:

Hai già fatto?

e io pensando si riferisse al tampone la sto per aggiornare su quello e lei:

No, la benedizione!

Mi guarda e dice un po’ dispiaciuta:

La volevo anche io!

Guarda i due medici, anche loro concordano, solo con un cenno della testa.

Diciamo un Gloria (gli ho fatto uno sconto, ho scelto la preghiera più breve e completa!)?

Lo dicono; invoco la benedizione della Chiesa e loro si sono segnati.

E non erano dei baciapile mi pare di intuire…
Esatto, tutt’altro. Ci sono tanti piccoli episodi. Una cosa che mi ha molto colpito! Vado in camera dove c’era il sig. Gianni, un signore malato oncologico, mi presento al solito modo: “Non sono un marziano, sono Cristiana”. Vedo che sta piangendo.

Sono così solo e sto ripensando alla mia vita e a quante ne ho combinate!

Gli rispondo:

Ma guardi che razza di Via Crucis sta facendo!

e lui:

Non sono neanche credente, solo mia moglie lo è. Sa che lei è la prima persona che mi parla in due giorni? Mi hanno tolto tutto, tutte le mie cose.

Allora mi svesto, vado in reparto dove hanno depositato i suoi effetti, prendo la sua roba, torno e gli porto tutto, gli do il telefono e gli metto vicino anche il carica batteria. E vedo che si rimette a piangere. Mi dice:

Ma chi l’ha mandata?

Questa è proprio una bella domanda. Io ero venuta a fare il tampone. E per lui ero stata “mandata” da qualcuno, in un senso profondo. Era stato semplicissimo. E’ così, se stai a quello che succede solo col desiderio di fare compagnia è poi facile! E l’altro vede con semplicità un gesto di bontà di Dio, del Principale, dentro un gesto, una cosa di tutti i giorni! Da una come me, con tutta la sua miseria. Sì, ed è proprio per questo che lo puoi riconoscere: ci si accorge che Lui usa di tutto e di tutti per arrivare a tutti, per fare la Sua carezza e, altra cosa commovente, mi sono accorta che mentre la stava facendo a loro la stava facendo a me. Messo a fuoco questo, è bellissimo lavorare così! Il nostro lavoro è un privilegio. Un altro incontro: sono entrata da questa signora che stava morendo. La accarezzo e lei non se ne accorgeva nemmeno, era in coma. Ed era Lui che accarezzava me ma anche io che lo facevo a Lui (che è nei sofferenti, in modo misterioso e preferenziale)! Più è gratuito il gesto, più è nudo di fronte agli angeli, più ti accorgi che è il rapporto tra te e Lui! E’ questa la misericordia.

Ti ha cambiato, ti sta cambiando allora questa esperienza?
Tutta questa grazia non mi ha reso più buona! Abbiamo i nervi a fior di pelle, mi “mangio” i colleghi, ci sono momenti di tensione. La cosa che cambia davvero è che non è che diventi più buona ma è tutto in mano Sua! Una collega mi ha detto:

Sai cos’ho fatto quando ho finito il turno? Mi sono bardata da capo a piedi e sono andata nelle stanze dei pazienti a fare delle chiacchiere

e lei non è mica credente. Allora vedi che l’umano è fatto bene? E poi ha aggiunto:

Siamo fortunati ad averti perché tu vedi la luce dove io vedo solo la nebbia!

Ti senti un tramite, una mediatrice limitata ma chiamata a portare una presenza?
È Lui, è proprio Lui che fa, con la pietra scartata. Resto sempre pietra ma per Lui, in mano Sua!

La Chiesa come corpo, come popolo, come madre, come maestra… Qual è il volto che sta emergendo più di tutti per te in questo frangente?
Io sono una persona consacrata, è vero, ma non particolarmente pia! C’è qualcosa che più di tutto mi ha sostenuto: è stata tutta la preghiera della Chiesa. Il motivo per cui ho scritto a mons. Zuppi è che sono così disperata, o meglio misera, impotente se mi baso sulle mie sole forze, che ho proprio bisogno. Quando dicono “siete degli eroi! andrà tutto bene”, a me sinceramente girano le scatole! E’ un ottimismo troppo superficiale.

Forse ha senso leggerlo solo come quella sete che dicevamo prima…
Ogni volta che dico faccio l’infermiera poi mi chiedono come mai non abbia fatto il medico; è una delle professioni più disistimata. Però non siamo eroi, non è vero, si tratta del nostro lavoro. La cosa incredibile è che attraverso il sì balbettante, il mio per esempio, Lui fa veramente un capolavoro, usando di te e ti riempie il cuore. L’altra cosa che mi preme raccontare è un episodio con un’altra paziente, la signora Rina, non vedente, che è uscita ieri. Un giorno mi confida:

Mi piacerebbe tanto parlare con la mia signora

Chi è?

Quella che mi fa le pulizie

Questo per dirti quanto fosse sola. Chiamo una prima volta e non risponde, il giorno dopo riproviamo e la signora risponde. Hanno parlato tra loro e la signora le ha chiesto “ma com’è quest’infermiera?” come fossi una persona così importante e decisiva. E avevo fatto pochissimo. Ho pensato a lei cieca, sola, e a me che ero stata lì solo 5 minuti. Che cos’è la mia goccia di fronte a tutto questo mare di bisogno?  Dopo questa intervista al TGR (andata in onda il 6 aprile scorso NdR) hanno iniziato a chiamarmi diverse persone, a cercarmi. Ho capito che ognuno può dire solo il suo sì, che è la goccia, ma è Lui che deve fare il mare. Non te ne devi preoccupare tu, saranno affaracci Suoi (ride, Ndr). Lui, grazie anche al tuo gesto, arriva a persone lontane, tocca i cuori che vuole. C’è chi mi ha scritto dicendo che aveva deciso di cambiare proprio grazie a quel che avevo raccontato. Non sono io che salvo il mondo. Se mi chiedi di dire sì io ci provo, il resto non sta a me. Anche se il rischio che si faccia avanti il delirio di onnipotenza c’è sempre.

Nei titoli di tutti i TG adesso il tema è sempre la agognata fase 2. Secondo te siamo tutti troppo frettolosamente proiettati verso il ritorno alla normalità (e lo dico toccando con mano il dramma del rischio povertà, del sacrificio imposto ai nostri figli con la famigerata didattica a distanza, la penalizzazione dei soggetti più fragili, come i bimbi disabili, e la rinuncia a tutto il resto)? In ospedale come la vivete? Per cosa siete preoccupati in particolare?
I nostri numeri è vero stanno calando. O meglio, è calata la gravità. Ma i reparti Covid sono pieni, 3400 persone si ammalano ogni giorno. Le terapie intensive sono meno intasate, perché forse si riesce ad arrivare prima, si somministrano farmaci che se presi subito ai primi sintomi sono molto efficaci e ora sono più facilmente reperibili (antimalarici. Da somministrare solo dietro prescrizione medica, secondo tempi precisi NdR). Altro dato serio: il numero dei dipendenti che si infettano è stabile, solo ieri tre da noi. Anche un ospedale al margine come il nostro avrà un lavoro di sorveglianza, di tamponi etc per almeno un anno ancora, fino a che non ci sarà un vaccino efficace credo che sarà così. E siamo in 15 persone a seguire solo l’organizzazione della gestione Covid. Attualmente stiamo prendendo in carico tutti i pazienti traumatologici di Bologna e da due giorni stanno aumentando perché hanno cominciato a riaprire alcune aziende e quindi ci sono più infortuni. Spingono per riaprire gli ambulatori e un altro reparto, ma dove troviamo il personale? Se pensi che prima in medicina preventiva c’erano solo un medico a tempo parziale e un infermiere…

E i malati oncologici, ad esempio? Ho questo cruccio che però di sicuro si può estendere ad altre categorie di patologie. La sospensione di tante attività sanitarie avrà ricadute serie nel medio termine, no?
Bè, noi siamo il riferimento europeo per la cura di patologie oncologiche ossee e i nostri reparti lavorano a pieno regime; due su tre sono rimasti puliti, in uno c’è stata qualche infezione. Però mi rendo conto che la crisi economica è un tema enorme, che noi magari noi siamo tanto concentrati sull’emergenza sanitaria ma si può morire anche di fame, di povertà. Se non morire, patire!

Ci sono nell’opinione pubblica come due partiti: il Covid ci cambierà, ci renderà migliori versus il Covid non insegnerà nulla, l’uomo dimentica e se possibile peggiora. C’è una terza via secondo te? Quale?
Non so se è una via; ma qui si tratta proprio di quello che chiamiamo conversione, che sta nella libertà di ognuno. Diciamo che abbiamo avuto, stiamo avendo una occasione drammatica per vedere e imparare. E quello che dice mons. Zuppi a questo proposito è che di fronte alle cose che ci colpiscono, se restano solo a livello emotivo, se non diventano coscienza, lavoro, preghiera o almeno riflessione, poi passano. Anche queste cose mi sono messa a scriverle, ogni due tre giorni. Le metto giù, le rileggo, perché altrimenti rendiamo consumistico anche il miracolo! Mi sono resa conto che ho fatto fuori qualsiasi protagonismo; fare interviste per esempio è una cosa che mi aiuta, perché mi costringe a rendere ragione della mia esperienza; allora anche questo è un lavoro che faccio volentieri. Se no va via tutto….

La solitudine, altro tema piuttosto democratico in questo periodo: per tutelare le persone con cui vivevi hai dovuto cambiare domicilio, giusto?
Sono entrata in casa Memores Domini a diciannove anni, avevo incontrato CL a sedici. Ho sempre abitato in compagnia di tante persone e un mese fa mi son trovata da sola. E all’inizio è stata una cosa grandiosa dell’accorgersi che Lui ti fa compagnia, anche da sola. La compagnia è al fondo di te, perché è Lui che poi usa di tutto. Trovarsi da sola ma non essere sola e capire che la compagnia è proprio al fondo di te. Ma poi mi sono accorta che stava diventando un po’ più routine “…e no, Gesù! non mi posso abituare anche a questo!” Se non ci lavoriamo sopra, ecco, ci abituiamo anche al coronavirus.

Che cos’è la Chiesa allora? Il Papa nella preghiera del 27 marzo in piazza San Pietro ha detto con le parole di Gesù “perché ancora temete, non avete ancora fede?”. Io mi accorgo che ho paura quando mi sono distratta. Ma chi è che salva il mondo? Non lo dici più in astratto, perché lo hai appena visto. Non puoi dire che è astratto, perché agisce, cambia te e i colleghi. Ma se ci sei Tu, di cosa ho paura? E’ la speranza che diventa un po’ più certa. La paura fa meno paura, se è un test. Però questo lavoro da solo non lo fai, non tieni. Allora quello che dice il card Zuppi o Julian Carron (Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Ndr) o quelle di casa tua, insomma chi prende sul serio la propria umanità, ci serve per fare questo lavoro e per essere sostenuti. La fortuna nostra è avere un luogo che ci ritira su dal buco dove cadiamo; per questo ho capito che dobbiamo avere una grande tenerezza per chi non ha niente, non ha un luogo, non ha  amici che lo aiutino, non ha maestri! Se io fossi senza questo come farei? Loro meritano tutto il nostro rispetto.

 

 

Fonte: Aleteia