La Pastorale dei prossimi giorni
Di Marco Pappalardo
«Tutto sarà diverso alla ripresa della “normalità”, non soltanto perché molti si ritroveranno disoccupati e busseranno alle porte delle nostre parrocchie, come già in parte sta accadendo, ma anche dal punto di vista ecclesiale e pastorale».
Sono le parole di un amico parroco, Don Giuseppe Raciti della Famiglia Ecclesiale Missione Chiesa-Mondo di Catania, con il quale mi sono confrontato in questi giorni. Se il problema del lavoro è e sarà una sfida enorme, sicuramente al di sopra delle possibilità ecclesiali, non deve e non dovrà esserla quella pastorale.
«Da un mese – continua Don Giuseppe – i laici hanno dovuto “fare da soli”, a casa, riscoprendosi sacerdoti della famiglia, presidenti di celebrazioni domestiche, guide di preghiera, organizzatori del culto domestico, mettendo in pratica, di fatto, quel triplice munus sacerdotale, profetico e regale di Cristo cui partecipano tramite il battesimo. Le case si sono trasformate in chiese domestiche, santuari, monasteri dove ritrovare il silenzio della preghiera in mezzo alla vita quotidiana».
Sembra che quanto i documenti ufficiali del Magistero della Chiesa ed una pastorale accorta abbiano sempre cercato di realizzare, nella fatica di una formazione che rispettasse gli orari e gli impegni familiari, questo tempo di Quaresima-Pasqua vissuta tra le mura domestiche lo stia finalmente realizzando.
«Al rientro nella vita ordinaria, noi pastori, – si chiede il nostro parroco – non potremo più tornare a considerare questi fratelli laici, che la sofferenza ed il doversi gestire da soli la loro vita cristiana ha fatto maturare, come li abbiamo considerati prima di questa dolorosa, ma performativa esperienza.
Non potremo più considerarli semplici spettatori passivi, di un clero che “gestisce” il sacro senza tenerli in considerazione. Dovremmo partire dal riconoscere un ministero di fatto che hanno dato prova di saper svolgere come hanno potuto, e da lì ripartire per la Chiesa di domani. Nulla potrà più tornare come prima di questa esperienza di vita e di morte che stiamo vivendo. Mai come in questi giorni mi vengono in mente le Parole dell’Apostolo Paolo: «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio…» (Rm 8,28) scorgendo in filigrana dentro questa triste e dolorosa storia».
L’esperienza della pandemia ancora in corso, vede famiglie stroncate, vite perdute sotto gli occhi impotenti degli stessi sanitari o delle famiglie di appartenenza che non hanno potuto neppure essere a fianco ai loro cari durante la malattia o nel momento del trapasso.
«Ciascuno di noi – aggiunge – insieme al dolore e al sacrificio, sta ritrovando anche il gusto dell’appartenenza. Dalle famiglie che finalmente hanno ritrovato se stesse, mettendo in campo tutte le migliori risorse umane e cristiane per superare i propri limiti in una convivenza forzata, fino alle comunità di vita consacrata che stanno riassaporando la gioia ed il conforto della vita comune, ritrovando fratelli e sorelle che avevano dimenticato di avere. Da qui, come Chiesa, dobbiamo ripartire, da questa Pasqua che ci auguriamo essere finalmente la nostra Pasqua, la Pasqua-rinascita di tutti noi, di un corpo ecclesiale più coeso, più ministeriale in cui ciascun membro fa la sua parte, nel riconoscimento rispettoso di ruoli e competenze».