Domenica di Pasqua

Domenica di Pasqua

12 aprile 2020 – Anno A

 

Commento di Suor Laura Agostani, FMA

Dal Vangelo secondo Giovanni 20,1-9

 

Credo che questa Pasqua abbia per tutti un sapore particolare, ma sono anche certa che mai come quest’anno le letture possano esserci davvero di aiuto e consolazione.
Possiamo ritrovarci nello sguardo deluso di Maria di Magdala che ha perso l’amato del suo cuore, in quello di Pietro che si sente giustamente tradito nella sua idea di messia o in quello del discepolo amato che in coscienza sa che la morte non può essere l’ultima parola; qualsiasi sguardo ci abiti, non venga mai meno la certezza che ogni sofferenza, ogni pena, ogni dolore, ogni croce anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria” (mons. Tonino Bello).

 

Ritengo che tre parole emergano da questo brano giovanneo e possano esserci di aiuto e sprone.

 

BUIO: Maria di Magdala va al sepolcro quando era ancora buio; questo buio non rappresenta solamente la tenebra della notte, ma racchiude tutto il buio ed il vuoto che portiamo nel cuore: le nostre sconfitte, i nostri dolori, le nostre sofferenze.
Maria con questo gesto quasi ci suggerisce che se non portiamo sotto la croce tutto ciò che ci fa soffrire rischiamo di rimanerne schiacciati; Gesù accetta la croce e sale al Calvario per aiutarci a portare le nostre croci, per farci capire che non siamo soli a soffrire, che Dio non è un Padre assente: ci dona Suo Figlio per darci la certezza che non siamo soli nella sofferenza: Lui è accanto a noi! Dice padre Ermes Ronchi: “Dio non salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza; non protegge dalla morte, ma nella morte; non libera dalla croce, ma nella croce”.

 

CORRERE: Maria corre da Pietro, i due discepoli corrono al sepolcro; i protagonisti di questo brano non stanno fermi, sono tutti in movimento, come se volessero farci intuire che la fede non è statica anche nella notte del dubbio.
La fede mette in moto; anche Pietro più anziano del discepolo amato corre, corre come può, come è capace, ma corre e attiva energie e potenzialità che non credeva neppure di avere.
Penso a questi giorni di clausura forzata e a quante modalità sono state messe in atto per raggiungere anche solo virtualmente chi avevamo a cuore. Questa è la creatività dell’Amore che contraddistingue chi non si lascia abbattere ed atrofizzare il cuore.
Proprio come incoraggia papa Francesco, che in una recentissima intervista rilasciata a un giornalista britannico dice: “la creatività del cristiano deve manifestarsi nell’aprire orizzonti nuovi, nell’aprire finestre, nell’aprire trascendenza verso Dio e verso gli uomini (…) una creatività semplice che tutti i giorni inventa qualcosa”.

 

VEDERE: Maria vede la pietra ribaltata; Pietro vede le bende; l’altro discepolo vede e crede.
Purtroppo, qui la traduzione ci fa perdere la sfumatura del testo greco che non usa lo stesso verbo per tutti e tre i protagonisti. Maria guarda (blépo); Pietro contempla (theoréo), l’altro discepolo sa andare oltre (orào); quasi a volerci dire che non basta essere stati testimoni del triduo per credere!

Non basta aver studiato, recitare le preghiere del buon cristiano o appartenere a una famiglia cattolica per avere fede: la fede è un dono! Diceva papa Benedetto nella splendida enciclica Deus Caritas est: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”.

Ognuno dei protagonisti del vangelo, proprio come noi, ha un cammino di fede diverso: Maria deve liberare il suo amore per Gesù dal bisogno del possesso incamminandosi verso un sentimento casto (= amore libero); Pietro deve convertire la sua idea di Messia; il discepolo amato – che non è mai chiamato per nome (saremo forse noi?) crede perché ha il cuore libero, crede perché è stato sotto la croce, crede perché è in compagnia di Maria, crede perché “semplicemente” accoglie l’Amore incondizionato di un Dio che per dimostracelo, per renderlo tangibile permette che Suo figlio venga ucciso e torturato. Ma non Lo ha abbandonato alla morte: come già richiamato all’inizio, don Tonino Bello ci ricorda che la sofferenza ha le ore contate, è a tempo determinato, da mezzogiorno alle tre, non oltre.

Poi irrompe la Luce della Pasqua che sconfigge le tenebre e vince la morte ricordandoci che siamo fatti per cielo, e che se anche il nostro corpo sarà corrotto risorgeremo per abitare insieme il Paradiso. E sarà gioia immensa che niente e nessuno potrà offuscare!

 

Buona Pasqua di cuore a tutti!