3^ Domenica di Pasqua
26 aprile 2020 – Anno A
Vangelo di Luca 24,13-35
Commento di suor Cristina Merli, FMA
Spesso la fine è l’inizio migliore.
“Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane”. (Lc 24,33-35)
Quanta voglia abbiamo anche noi, oggi, di sentirci dire e ridire che il futuro certo della fine è un nuovo inizio, che la morte non la puoi sempre sconfiggere con le medicine, che la fragilità è la cifra della nostra vita e non ne guariremo mai, ma che dentro tutto questo Gesù, in persona, si avvicina e cammina con noi.
Noi i discepoli di Emmaus, non nominati, che vanno tristi e preoccupati, tutti intenti a parlare di paure, morte, delusioni, disperazione. A sperare, “invano” come loro, che ci dicano al più presto “liberi tutti, virus debellato, vaccino trovato, la scienza ci ha salvato”.
Noi, illusi e delusi. Illusi nel porre lì la nostra speranza, delusi nel dare la caccia al senso del vivere nella sicurezza.
Dante, canto I dell’inferno:
Ma per trattar del ben ch’i’vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’io v’ho scorte.
Dante è all’inferno, nella selva oscura, spaventato, senza via di fuga, perché quando la intravvede tre animali feroci gli si parano davanti. Ma dentro quell’inferno ha sperimentato un bene, ha trovato cose buone.
Forse l’esercizio che è chiesto anche a noi, come è stato chiesto ai discepoli di Emmaus, è questo: dentro la vostra delusione, aprite gli occhi, perché Io, il Risorto, sono lì.
Nella situazione di buio e di tristezza – “si fermarono col volto triste” Lc 24,17 – Gesù ci cammino accanto, ci fa compagnia, STA con noi – “Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro” Lc 24,15. Sta con noi che dobbiamo STARE, stare dentro la situazione, stare dentro le case, stare dentro la precarietà, stare dentro noi stessi, stare dentro la malattia e la morte.
“Ma per trattar del ben ch’i’vi trovai”.
Alla fine del viaggio Dante ce lo dice: questo Bene è Dio! E ce lo dicono i discepoli di Emmaus: questo Bene è Cristo risorto che abbiamo incontrato. È Cristo dentro la vita, dentro le storie, dentro le persone, dentro gli atti di condivisione e di fraternità, di offerta, di consegna di se stessi. – “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”. Lc 24, 30
Forse dobbiamo dircelo più spesso, come hanno fatto i discepoli – “trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via” – dobbiamo dircelo più spesso che le immagini delle infinite bare trasportate dai camion dell’esercito non hanno nel fotogramma successivo la parola “fine”.
Ma è difficile. Come dice Turoldo.
“No, credere a Pasqua non è giusta fede:
troppo bello sei a Pasqua!
Fede vera è al venerdì santo
quando Tu non c’eri lassù!
Quando non una eco risponde
al suo alto grido
e a stento il Nulla dà forma
alla tua assenza”.
È tanto difficile credere in questo venerdì santo dei nostri giorni.
Ma se facciamo l’esperienza che Cristo è con noi potremo dirlo: c’è del bene, c’è un Bene, c’è il Bene proprio qui, proprio oggi.
Il Bene è Cristo che entra nel nostro vuoto e ci permette di guardarlo,
entra nella nostra fragilità e ci consente di accettarla,
entra nella nostra solitudine e ci autorizza ad abitarla,
entra nella nostra paura e ci invita ad attraversarla.
E allora, senza sosta,
noi continueremo a ripetere
la stessa invocazione.
Stando in ginocchio davanti a Te,
guardando con affetto e tenerezza
gli occhi dei nostri alunni dietro uno schermo,
preparando un pranzo con cura,
andando a fare la spesa per la vicina,
vestendoci di tutte le protezioni
prima di entrare in reparto,
telefonando ai nostri nonni
soli a casa,
servendo a una cassa del supermercato,
seppellendo, una dopo l’altra,
le vittime del contagio,
presidiando le strade
per garantire la sicurezza,
stando in un letto d’ospedale
dietro a una mascherina dell’ossigeno.
Noi, senza sosta,
con insistenza
con speranza sofferta e testarda
continueremo a ripetere
la stessa invocazione:
resta con noi.