L’immigrazione oltre i clichè

da | 27 Gen 2020 | Film, Giovani

L’immigrazione oltre i clichè

da | 27 Gen 2020 | Film, Giovani

La straordinaria storia di Obaida

 

di  Anna Toro per Vita

 

“Quando non puoi tornare indietro”: il documentario del regista indipendente Leonardo Cinieri Lombroso racconta l’esperienza in Italia di Obaida, studente di ingegneria siriano giunto a Roma grazie a una borsa di studio.

Una storia di migrazione e coraggio, che sfugge dai soliti cliché invitando a guardare alla Siria e in generale alla guerra da una prospettiva diversa. Si chiama “Quando non puoi tornare indietro” il documentario del regista indipendente Leonardo Cinieri Lombroso, che racconta la vita di Obaida, brillante studente di ingegneria siriano, miracolosamente giunto a Roma per una borsa di studio. Obaida in realtà sognava di fare il cantante ma la guerra ha cambiato le sue priorità.

Obaida è solo, la famiglia è rimasta in Siria, e quando tutto è perduto, iniziare da capo sembra impossibile. Eppure la vita non smette di sorprenderlo: canterà a The Voice, si laureerà col massimo dei voti e incrocerà altre vite e altre storie nella sua strada verso la felicità.

Con un finale che lascia lo spettatore preda di sentimenti contrastanti.

Dopo una serie di presentazioni, tra festival e incontri, il 20 gennaio il documentario è approdato di nuovo a Roma, alla biblioteca Nelson Mandela, con una novità: per la prima volta alla proiezione era presente anche Obaida, giunto in Italia dalla Danimarca, dove ha appena conseguito il dottorato di ricerca. «E’ stato strano vedere il documentario insieme al pubblico, perché il film racconta la mia vita e i miei sentimenti in modo molto intimo – racconta – ma spero che potrà ispirare le persone e portarle a riflettere, soprattutto a non dare per scontato ciò che hanno».

Obaida lo sa bene: prima che lasciasse la Siria nel 2013 a causa della guerra civile, la sua Aleppo era già una città fantasma. Ricorda la fatica per connettersi a internet e iscriversi ad ogni costo per la borsa di studio. «Non c’era la corrente e abbiamo noleggiato un generatore – racconta – la mia famiglia è rimasta tutta la notte con la mano sulla spina per assicurarsi che non si staccasse e darmi il tempo di caricare e inviare tutti i documenti necessari». E poi ci sono le bombe, che cadevano vicino alla sua casa: «A quelle non mi sono mai abituato» spiega, e parla di quei sessanta secondi in cui succede di tutto: dallo straniamento iniziale, al caos e le urla, la paura per i propri cari, fino al ritorno alla normalità, come se nulla fosse successo.

La distruzione, però, quella resta. Ma non è solo di questa che il regista ha voluto parlare.

 

«Obaida è stato un canale per raccontare la Siria e la sua cultura che rischiava di scomparire, mi ci ha condotto attraverso parole, canzoni e poesie». Il viaggio musicale è infatti parte fondamentale del documentario: dalle musiche composte dalla giordana Dina Madi – che appare nel documentario – alle band scelte da Obaida stesso, come i Tamikrest, maliani di etnia tuareg, o i siriani Khabez Dawle, anche loro con una storia incredibile di immigrazione alle spalle.

E poi c’è l’utilizzo dell’arabo, il dialetto di Aleppo e l’arabo classico, sapientemente alternati a seconda della situazione. «E’ un documentario fruibile anche da un pubblico arabo, che apprezza molto questo genere di sottigliezze» spiega Obaida.

Infine c’è l’immigrazione, che qui diventa concetto universale: il dolore del distacco dalla propria famiglia, la paura di non rivederli mai più, le chiamate su Skype che non suppliscono all’abbraccio fisico, i visti non concessi, la nostalgia che divora ma che non paralizza. Obaida infatti andrà avanti, passo dopo passo, verso la conquista del proprio futuro, grazie anche alle persone incontrate in Italia. Alla fine – ce lo racconta lui stesso dopo la proiezione – Obaida rivedrà la sua famiglia solo sei anni dopo, a Istanbul.

«Il film è un messaggio che parla di uguaglianza tra le persone al di là di concetti obsoleti quali nazioni e confini» spiega il regista. Non a caso, “Quando non puoi tornare indietro” ha avuto il patrocinio di Unhcr, Oim, Amnesty International, e naturalmente l’Università La Sapienza, dove il giovane siriano si è laureato. Obaida infatti non è un rifugiato, come solitamente si pensa, bensì uno studente internazionale: «Un esempio vivente di come una borsa di studio possa cambiare davvero la vita delle persone».