Di Andrea Miccichè
Sotto il manto purpureo il volto dipinto sulla tela poteva diventare bestiale, disfatto, sozzo: che importanza aveva? Nessuno l’avrebbe potuto vedere. Neppure lui.
Perché vedere la disgustosa corruzione della sua anima? Avrebbe conservato la giovinezza: questo bastava. E dopotutto non avrebbe potuto diventare migliore?
(Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray)
Siamo arrivati alla conclusione della scoperta delle quattro virtù cardinali, che costituiscono la base della vita umana e il presupposto per aprirsi alle virtù teologali.
E, parallelamente, anche il cammino quaresimale è arrivato a metà.
Non è un caso che la virtù con cui possiamo confrontarci sia appunto la temperanza, o moderazione dei propri desideri, passioni, sentimenti…
Non è difficile seguire le tracce di Dorian Gray sulla via della corruzione-autodistruzione: alla doppiezza del cuore corrisponde la morte della coscienza; l’incapacità di trovare l’equilibrio è come un tarlo che corrode quell’immagine non umana, ma divina, impressa in noi.
Essere temperanti non è, pertanto, un insieme di limitazioni, che ci fanno soffrire e guardare con invidia i vizi degli altri, quasi che fossimo presi al guinzaglio senza poterci liberare, ma è un custodire intatta la nostra libertà e purezza. Anzi, questa virtù è come l’istinto di sopravvivenza dell’anima.
Pensiamo al viandante nel deserto: il suo impulso è bere tutta l’acqua nella borraccia, ma non riuscirebbe a soddisfare la propria sete e, peggio, morirebbe di lì a poco.
Spostiamoci sulla vita spirituale: quante volte, dopo essere caduti nel peccato, assecondando le tentazioni, ci sentiamo vuoti?
La nostra esperienza personale ci fa vivere come il pendolo di Schopenhauer: dal desiderio alla noia, senza raggiungere mai la felicità. Sfogare la propria insoddisfazione di vivere nel cibo, nella sessualità, nella ricerca di gratificazione da parte degli altri, nell’autocelebrazione, nella droga, non sono forse segni della mancanza di autodominio, in altre parole, segni che ci stiamo disumanizzando?
Chi è moderato è felice e, viceversa, chi è felice si modera, perché non ha bisogno di altro per essere veramente sé stesso.
Ricordiamo che ogni vizio, anche il più piccolo, è come una falla in un sistema di sicurezza: non importa quanto sia grande, ma, una volta che è stata individuata, chiunque può sfruttarla per i suoi fini più abietti, in un crescendo che culmina nell’indifferenza rispetto al male compiuto.
Il vizio addormenta la coscienza: Dorian arriva ad affermare che gli bastava la bellezza, tanto riteneva inutile la rettitudine del cuore.
Non tutto, però, è perduto: l’occasione di migliorare, anzi, di diventare ciò che siamo, cioè figli di Dio, non colta dal protagonista del romanzo, non è preclusa a nessuno, si rinnova di giorno in giorno, in una continua chiamata verso l’Alto.