Di Gerolamo Fazzini
Quando ci sono di mezzo i giovani, la tentazione più forte degli adulti è quella di pontificare, di proporre analisi, di imbarcarsi in nostalgici confronti fra l’oggi e un passato dipinto come un Eldorado.
Nel migliore dei casi, troviamo adulti che “concedono” ai giovani d’oggi qualche chanche. Come dice suor Alessandra Smerilli, «la frase che sento più spesso nei convegni e nelle occasioni in cui si parla di giovani è “Però c’è del buono”», nonostante gli under 30 di oggi siano fragili, dubbiosi, incostanti… e via di questo passo.
Nell’Esortazione apostolica “Christus vivit” che raccoglie e rilancia i frutti del Sinodo dei giovani dello scorso anno, Papa Francesco sconvolge letteralmente questa mentalità vecchia e offre una prospettiva completamente diversa.
«Cari giovani – leggiamo nelle ultimissime righe del documento – sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci».
In un altro punto dell’Esortazione (n. 37), il Papa si esprime così: «La Chiesa di Cristo può sempre cadere nella tentazione di perdere l’entusiasmo perché non ascolta più la chiamata del Signore al rischio della fede, a dare tutto senza misurare i pericoli, e torna a cercare false sicurezze mondane. Sono proprio i giovani che possono aiutarla a rimanere giovane, a non cadere nella corruzione, a non fermarsi, a non inorgoglirsi, a non trasformarsi in una setta, ad essere più povera e capace di testimonianza, a stare vicino agli ultimi e agli scartati, a lottare per la giustizia, a lasciarsi interpellare con umiltà».
Si dirà: l’anziano Papa, come un nonno condiscendente, “liscia il pelo” ai nipoti. Non è così. Il filo rosso dell’Esortazione, a me pare, è un forte richiamo alla conversione (di ciascuno, a partire dai giovani, e della Chiesa intera) a Cristo, novità del mondo.
Un appello esigente, alla radicalità del Vangelo e alla sequela di Gesù, presentato come colui che merita di essere seguito perché testimone di una gioia diversa da quella che dà il mondo.
Anziché addentrarsi in contorte analisi o proporre rimedi sociologici, il Papa avvia la sua lettera rilanciando l’unica, potente novità del cristianesimo: «Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!».
Viene in mente il Vittorio Messori di “Ipotesi su Gesù”, laddove il grande scrittore parlava dell’«oscuro falegname ebreo che ha spezzato la storia in due: prima di Cristo, dopo di Cristo».
Se Cristo è risorto e vive davvero, beh… le cose cambiano.
Fateci caso: c’è una bella differenza tra chi parla di Gesù al passato, come un grande personaggio storico e stop, e chi lo racconta al presente, vivo. Mi piace molto sentire chi recita l’Angelus dicendo «Il Verbo si è fatto carne e abita in mezzo a noi». Già, perché se Cristo è vivo – insisto – tutto (ma proprio tutto) cambia.
Il Papa lo ripete in più passaggi nell’Esortazione, ad esempio al n. 32. «Gesù è risorto e vuole farci partecipare alla novità della sua risurrezione. Egli è la vera giovinezza di un mondo invecchiato ed è anche la giovinezza di un universo che attende con “le doglie del parto” (Rm 8,22) di essere rivestito della sua luce e della sua vita. Vicino a Lui possiamo bere dalla vera sorgente, che mantiene vivi i nostri sogni, i nostri progetti, i nostri grandi ideali, e che ci lancia nell’annuncio della vita che vale la pena vivere».
Insomma: dovessi riassumere l’Esortazione in un tweet direi così:
«Per tanti giovani Dio è astratto e lontano, la Chiesa qualcosa di ben poco interessante. L’unico che può tornare ad affascinare i cuori, oggi, è Gesù Cristo. Ripartiamo da Lui».
È quanto ripete nel documento, rivolgendosi ai giovani e alla Chiesa, proprio Papa Francesco: lui che, all’inizio del suo primo viaggio internazionale (in Brasile nell’estate del 2013), si era presentato dicendo: «Io non ho né oro né argento, ma porto ciò che di più prezioso mi è stato dato: Gesù Cristo!».