di Andrea Miccichè
“Non ne posso più di stare murato
nel desiderio senza amore.
Una traccia mostraci di giustizia.
La tua legge qual è?
Fulmina le mie povere emozioni,
liberami dall’inquietudine
Sono stanco di urlare senza voce.”
(Giuseppe Ungaretti, La Pietà)
Il nostro cammino quaresimale continua sull’orma della seconda virtù cardinale: la giustizia.
La cultura giuridica latina ci ha trasmesso tre precetti per incarnarla: honeste vivere, alterum non laedere, unicuique suum tribuere.
Vivere con decoro, non ledere gli altri e dare a ciascuno il suo sono la misura minima, essenziale, per un rapporto sano con il prossimo, ma, ad un’analisi più approfondita, queste formule si scontrano con l’incapacità di trovare un parametro definitivo di valutazione del comportamento.
Spesso ci scontriamo con la relatività della giustizia: ciò che va bene in un determinato contesto non va bene in un altro; non tutti abbiamo la stessa idea di bene e di male.
Ancor più gravi risultano gli eventi della storia umana segnati dall’odio e dalla violenza, ma compiuti dietro assurde concezioni di “giustizia”.
“La tua legge qual è?” s’interrogava il poeta Ungaretti durante il percorso di conversione: anche Dio, autore della Giustizia, può apparire lontano, assente, silenzioso davanti alle continue ingiustizie.
Se la prudenza orienta il nostro cammino evitando il male, la giustizia ci spinge a vivere le relazioni, cercando il bene dell’altro. E il bene richiede una costante tensione per la Verità.
È questo il nucleo della giustizia: senza la ricerca della Verità non si può raggiungere il Bene.
La giustizia è una virtù drammatica, proprio perché ci inserisce nella dinamica dello scontro tra l’essere e il dover essere: quante volte constatiamo il predominio dell’ingiustizia e del sopruso? Quante volte affermiamo: “Non può finire così”? Fermarsi a considerare il male è un errore, è “stare murati/ nel desiderio senza amore”: se alla denuncia non segue una testimonianza, non si segue la via di Cristo, ma quella di Barabba. Il desiderio di bene è segno di giustizia solo nella misura in cui diventa atto d’amore per l’altro, specialmente per chi ci ha ferito.
Non è un caso che, nella successione delle Beatitudini, sono proclamati beati “coloro che hanno fame e sete di giustizia” e subito dopo “i misericordiosi”: il desiderio che ad ogni uomo sia riconosciuta la dignità di “figlio di Dio” – ecco il senso cristiano del “dare a ciascuno il suo” –, è strettamente legato alla nostra vocazione di testimoni dell’Amore.
Praticare la giustizia vuol dire accogliere la sfida del confronto con la Verità, che, come il sole, sorge “sui buoni e sui cattivi”, senza negarsi a nessuno.