Di Gerolamo Fazzini
Quando, sul finire del 2017, cominciammo a lavorare a quella che poi sarebbe diventata la mostra “Santi della porta accanto. Giovani testimoni della fede”, nessuno di noi avrebbe potuto prevedere il successo che l’iniziativa ha ottenuto e continua a ottenere.
La mostra infatti – che presenta 24 figure di giovani (alcuni già beati, altri servi di Dio o venerabili, altri ancora “normali” ma esemplari per la qualità della loro fede) – a partire dall’estate del 2018 sta letteralmente girando l’Italia: ha già toccato una cinquantina di località ed è stata ospitata in parrocchie, oratori, scuole, in spazi comunali e persino in un ospedale.
Perché tale successo? Al di là della bravura di chi ha curato la grafica e i disegni (l’artista camerunese Afran), mi sento di dire che la mostra “funziona” perché veicola un’idea attraente di santità.
Perché, in sostanza, i ragazzi e i giovani che la guardano riescono a cogliere che si può essere santi e realizzati, e – di conseguenza – che è possibile, persino nel 2019 d. C., essere felici perché cristiani e non, come vorrebbe la vulgata, nonostante.
Per troppo tempo, temo, abbiamo veicolato un’idea di santità come di qualcosa che sa irrimediabilmente di muffa, un modello di cristianesimo che – per dirla con un eufemismo – non risulta interessante. E come potrebbe essere se, invece che il racconto di una storia d’amore, si riduce a una somma di regole e precetti?
I “santi” che presentiamo nella mostra, così diversi fra loro per storia personale ed epoca (si va da Piergiorgio Frassati ad Angelica Tiraboschi, morta qualche anno fa) hanno in comune una cosa: sono tutti uomini e donne che, pur avendo vissuto un’esistenza tutt’altro che comoda (molti di loro hanno sperimentato il calvario della malattia, alcuni l’incomprensione dei genitori ecc.), si descrivono e sono percepiti come persone felici, realizzati.
Hanno trovato un senso per la vita, per la loro vita.
Questo è il dramma di tanti giovani oggi, mi pare: non riuscire a trovare il proprio posto nel mondo, una vita originale per la propria realizzazione e, per questo, adagiarsi nel conformismo, accontentarsi dell’inseguire mode passeggere. È quanto ha descritto l’adolescente Carlo Acutis (uno dei 24 ritratti della mostra) nella fulminante espressione «Tutti nasciamo originali, ma alcuni muoiono fotocopie».
Concludo. La mostra funziona (ci hanno raccontato di bambini con gli occhi lucidi mentre adolescenti e giovani poco più grandi di loro raccontavano le storie dei 24 “santi”!) quando, come scrive nell’Esortazione apostolica Gaudete et Exsultate, capiamo che «il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente».
La mostra in questione è promossa dall’Associazione Don Zilli e dal Centro culturale San Paolo, in collaborazione con il Servizio Nazionale per la Pastorale giovanile della CEI e l’Azione Cattolica ambrosiana. Per informazioni: Centro Culturale San Paolo (Tommaso Carrieri) cell. 346.9633801 – mail centroculturale.vicenza@stpauls.it
Guarda il video di presentazione della mostra