«Smontare e montare significati per fornire alle nuove generazioni chiavi di accesso alla loro cultura».
È quanto afferma il Prof. Rivoltella il 17 novembre nel secondo incontro del Corso interdisciplinare “Apprendere nel tempo della rete. Percorsi per imparare il futuro“, promosso dalla Pontificia Facoltà Auxilium di Roma.
La sua lezione, dal titolo «Il futuro entra in classe: “smontare” e “montare” significati» focalizza l’interrogativo di molti dei docenti di ogni ordine e grado: come insegnare ad una generazione profondamente diversa da quella che, anche solo una ventina di anni fa, frequentava le aule della scuola?
«Come a Barbiana la scuola deve produrre cultura con gli studenti, così da renderli liberi» e soprattutto «Il futuro della didattica non dipende da strumenti e dispositivi tecnologici e innovativi, ma dalle nostre capacità e pratiche esperte di attivare processi di innovazione che ci riportano al montaggio e allo smontaggio di significati».
Da queste affermazioni si sviluppa il suo intervento che si focalizza attorno al framework del “design didattico”, da preferire al termine molto più conosciuto e in uso della del “progettare la didattica”, in quanto fa riferimento a prospettive molto più ampie.
La convinzione è infatti che «se dietro la tecnologia non ci sono competenze di design didattico l’efficacia è nulla».
Il design didattico si fonda su tre dimensioni: architettonica, in quanto è pianificazione, costruzione come nell’architettura, progettazione che inizia prima di entrare in classe, continua durante la lezione e diventa abito con l’esperienza; ergonomica, nel senso dell’ergonomia cognitiva, che tende a pensare il lavoro dell’insegnante per allestire ambienti di apprendimento, attraverso una mediazione didattica che tenendo conto del carico cognitivo intrinseco, pone le condizioni per alleggerire e minimizzare quello estrinseco, per rendere accessibile e comprensibile, senza semplificare, il contenuto; infine, estetica, cioè la produzione di artefatti didattici (schede, slide, filmati) che risultano dal lavoro di pianificazione e mediazione per mettere a disposizione tecnologie didattiche che siano efficaci dal punto di vista comunicativo e favoriscano l’apprendimento.
La scuola, in un contesto di molti linguaggi e molte culture, è un « laboratorio culturale, una officina dove si producono artefatti culturali, che, attraverso siti o blog, ad esempio, possono rimettere in circolo la cultura». In questo senso, la scuola ha «una funzione “politica”, intesa come scienza della polis, della cittadinanza. È una palestra di formazione del pensiero critico, esercizio di liberazione costante, di montaggio e rimontaggio di significati».
Per fare scuola oggi un insegnante deve conoscere la cultura dei bambini, dei ragazzi, degli adolescenti, dei giovani che ha in classe. Deve essere consapevole dei concetti e delle pratiche che riempiono le loro vite e le loro giornate: è importante colmare “il gap” tra cultura e vita, altrimenti la scuola non sarà mai compresa quale luogo di trasmissione culturale, che deve essere, ma verrà ridotta, come già accade oggi, a “agenzia di socializzazione”.
L’intervista al Prof. Rivoltella realizzata da Maria Elena Iacovone
Fonte: pfse-auxilium.org