L’appello dei giovani alla concretezza
Di Andrea Miccichè
Il Sinodo è iniziato: dal 3 ottobre, i Vescovi e i delegati invitati sono riuniti per meditare sul futuro della Chiesa nel dialogo con le nuove generazioni.
Di certo, la chiamata rivolta ai giovani non si è esaurita: ancora oggi risuona il dialogo, riportato nei particolari dall’evangelista Giovanni, con il Maestro: “Rabbì, dove dimori?” “Venite e vedrete”.
O meglio, la risposta di Cristo è sempre valida, mancano piuttosto le domande. E, se mancano le domande, manca anche la vera giovinezza: ridotti a larve umane, stanche della vita, oppressi dalla delusione o dal non senso, molti si lasciano vivere, piuttosto che vivere in pienezza.
Il Sinodo diventa l’occasione perché, nella comunione del cammino, si riscopra la novità del messaggio cristiano e ci si riappropri dell’urgenza dell’evangelizzazione di questa periferia generazionale.
Come ricordava Papa Francesco ai sacerdoti e ai religiosi a Palermo, non si tratta di adottare un piano pastorale più accattivante – per constatarne l’inadeguatezza – ma di entrare nella logica cristiana della prossimità.
Di cosa hanno bisogno i giovani oggi?
San Paolo VI, nell’Evangelii Nuntiandi, constatava che è più ascoltato un testimone che un maestro, anzi che il maestro è ascoltato solo se testimone.
La testimonianza, l’annunzio concreto del Vangelo, non è un compito riservato al clero o ai religiosi: è l’intero popolo di Dio a realizzare la missione di sale della terra e luce del mondo.
Il Sinodo non è un affare per i soli partecipanti; è il cammino di comunione dell’intera Chiesa: ecco, dunque, tre chiavi per viverlo con consapevolezza.
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Pregare
potrà sembrare scontato, eppure è il primo passo per contribuire alla riuscita del Sinodo. La preghiera prepara all’azione, illumina la strada, permette di discernere la volontà di Dio.
Insegna a entrare in sé per scoprire quell’inquietudine che genera l’attesa e la ricerca della felicità.
Non è un caso se Papa Francesco abbia rivolto l’appello a recitare quotidianamente, durante il mese di ottobre, il Santo Rosario, accompagnato dall’antifona mariana “Sotto la tua protezione” e dall’invocazione a San Michele Arcangelo.
Non si tratta di una moda ecclesiastica retrò, ma una necessità impellente: l’efficacia della preghiera di un giovane è forte – pensiamo solo che l’apostolo San Giovanni si rivolge nella sua prima lettera ai noi giovani “perché avete vinto il maligno”.
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Non accontentarsi di facili scorciatoie/Pretendere la verità
erroneamente vi è chi crede che giovinezza sia sinonimo di immaturità, perciò, talvolta anche nella catechesi, si tende a presentare una fede edulcorata, priva di un concreto riferimento con la vita di ogni giorno. Però, è nel quotidiano che si combatte con i problemi, con le cadute, con la sfiducia, con le paure: privarci degli strumenti necessari vuol dire condannarci a soccombere.
Bisogna far sentire la propria voce perché ci venga annunziato il Vangelo nella sua interezza (ricordiamoci che non c’è risurrezione senza croce!).
Sant’Agostino, che in gioventù ha scoperto Dio proprio grazie all’inquietudine di senso, nel Discorso ai pastori, critica aspramente coloro che, per timore di perdere fedeli, presentano un cristianesimo tutto rose e fiori; la nostra fede si raffina con la prova, così come la stabilità di una casa si vede dalla sua resistenza nella tempesta.
In questo tempo di Sinodo, iniziamo a verificare quale sia il fondamento della nostra vita spirituale, per individuarne le crepe. Solo con questa dolorosa operazione di verità, potremo chiedere maggior responsabilità ai nostri pastori, certi che attraverso la porta stretta si entra nella gioia piena.
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Realizziamo la comunione:
il tempo attuale è segnato da forti divisioni; dalle famiglie alla politica, dai movimenti ecclesiali alle amicizie, le relazioni sono messe in crisi dalla doppiezza del cuore, da pugnalate alle spalle, da sofferenze e gelosie. Proprio nel momento di primavera del popolo di Dio, ecco i veleni contro il Santo Padre, proprio dai collaboratori più stretti: così si raffreddano gli animi e si dà scandalo.
La via più facile è quella di sbattere la porta e chiudersi nel proprio dolore: la delusione nei confronti di chi ha un carisma nella comunità cristiana è la scintilla che può mandare in fumo anni di impegno e testimonianza.
Proprio in questi momenti, però, siamo chiamati a far presente la giovinezza: grazie alla libertà che ci contraddistingue possiamo mostrare che le catene del sospetto e dell’invidia sono la spia del decadimento spirituale.