di Emanuele Fant per Credere
Come ogni anno coi primi caldi le radio iniziano a trasmettere a ripetizione ballabili canzonette di scarsa qualità.
Se dico Spagna, la mente del lettore devoto correrà alle vertiginose estasi di Teresa d’Avila, o alla fede militante del grande Ignazio di Loyola. Io, invece, penso ad Álvaro Soler. Non ne vado fiero, ma non è nemmeno del tutto colpa mia: ravvisando nell’aumento delle temperature un anticipo dell’estate a venire, le radio stanno trasmettendo il suo ultimo tormentone con frequenza allarmante. «Vieni verso di me come le onde del mare, vieni verso di me non ci possiamo fermare»: questa è la sommaria traduzione di uno dei versi salienti della ballabilissima La cintura.
In effetti, da che mi ricordo, l’estate, per essere tale, ha sempre avuto bisogno di una canzone in spagnolo. Nel 1983 la celebre Vamos a la playa dei fratelli Righeira faceva rimbombare i juke box di tutti i locali vista mare della penisola. «La canzone si distingue principalmente per l’iterazione del titolo e del relativo ritornello che non aggiunge ulteriori parole oltre a un ritmico oh oh oh oh oh, producendo un effetto di ridondanza ossessiva», questa è la ficcante chiosa alla canzone che sono riuscito a recuperare su Wikipedia.
Quando i Righeira hanno perso capelli e guadagnato chili, lo scettro di capofila è passato di mano in mano: prima il duo attempato di Macarena, motivo legato a una irresistibile danzetta che non sono mai riuscito a completare; poi i brani energetici del sensuale Ricky Martin («Un, dos, tres, un pasito pa’lante María»); più di recente, Enrique Iglesias, afflitto da perenni delusioni sentimentali nonostante l’aspetto da fotomodello latino.
Se nel suo Siglo de Oro la Spagna regalava al mondo le riflessioni innovative di santi eccezionali, ora ha piegato le sue esportazioni verso un settore meno di nicchia, e decisamente più remunerativo.