In questo secondo momento di riflessione sull’esortazione di Papa Francesco, siamo chiamati a porre lo sguardo su due pericoli insidiosi nel nostro cammino verso la santità.
Sono due vetri deformanti, che alterano la nostra visuale di fede e, lentamente, atrofizzano il nostro discernimento.
Il Papa individua queste ingannevoli illusioni nello gnosticismo e nel pelagianesimo.
Gnosticismo e pelagianesimo sono stati tra le più gravi eresie della Chiesa antica, capaci di portare confusione e scandalo nelle comunità.
La loro insidiosità sta nel fatto che, al di là delle forme in cui si presentano, solleticano il nostro “appetito spirituale” e, indirettamente, il nostro Io.
Lo gnostico si vanta delle proprie capacità cognitivo-speculative; ritiene di essere capace di comprendere il Mistero, anzi, davanti a lui, il mistero perde consistenza. Lo gnostico, in fin dei conti, è un idolatra della propria mente, perché ha reso il Signore una divinità a misura d’uomo. La sua smania di onnipotenza intellettiva si scontra necessariamente con la constatazione che non tutti riescono a compiere gli stessi processi d’astrazione, perciò, il suo cammino di perdizione si completa nel disprezzo per gli altri e nella chiusura in sé o in cerchie ristrette di pochi “eletti e illuminati”, accomunati dal rifiuto per la multiforme opera dello Spirito, che si manifesta nel Popolo di Dio.
È la sua naturale conclusione: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” era la dura presa di coscienza della I Lettera di San Giovanni Apostolo. Non amando il prossimo, gli gnostici non amano il Dio incarnato; imponendo visioni unilaterali e dottrine personali agli altri, cadono nella loro rete di falsa sapienza. Per utilizzare l’immagine della parabola dei talenti, gli gnostici sono come il servo che ha sotterrato quanto ricevuto dal padrone, senza amministrarlo o investirlo.
A conferma di ciò, consideriamo la risposta del servo pigro al padrone: “so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso” (Mt 25,24).
Il servo sostiene di conoscere il padrone e la sua conoscenza fuorviata e fuorviante sarà la sua rovina.
Accanto allo gnostico, ecco il pelagiano: se il primo faceva affidamento sulla potenza dell’intelletto, il secondo adotta una prospettiva volontaristica. La salvezza, per il pelagiano, verrebbe solo dalle proprie forze; la vita di Cristo sarebbe solo un bell’esempio da imitare. L’inganno pelagiano è ancor più sottile di quello gnostico, perché tocca una corda del nostro cuore molto sensibile, cioè la volontà. Credere questo vuol dire negare che la santità sia un percorso di relazione con Dio, un percorso di Grazia, perciò gratuito.
Il monito biblico “Siate santi” non è lasciato al puro sforzo dell’uomo, ma è arricchito di significato perché è Dio stesso che si presenta Santo. “Siate santi perché io sono santo” (Lv 11,44): l’esperienza di santità è legata all’abbandono nelle mani del Padre, che ci previene e accompagna con lo Spirito. Ciò non vuol dire negare che la cooperazione dell’uomo al piano d’Amore di Dio sia essenziale per la salvezza, anzi, il nostro impegno è reso sicuro e fruttuoso proprio dall’azione del Signore.
“Solo a partire dal dono di Dio, liberamente accolto e umilmente ricevuto, possiamo cooperare con i nostri sforzi per lasciarci trasformare sempre di più” (Gaudete et exsultate, 56).
Come lo gnosticismo, anche il pelagianesimo, dietro l’apparente amore per il Signore, si nasconde una forma di autocompiacimento spirituale.
La chiamata alla santità è contraria alla ricerca del proprio Io: “chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25). Ricordiamo che il fumo di Satana può annidarsi anche nei propositi apparentemente buoni: anche il proprio cammino di perfezione evangelica può essere inquinato da queste visioni distorte.
Per prevenire e sanare le eresie di questo nostro tempo, il Papa ci richiama all’essenzialità del comandamento della carità: la carità diventa la via del discernimento e la bussola per orientarci, perché “dove la carità è vera, lì c’è Dio” (Paolino d’Aquileia).
Andrea Miccichè