Ci sono tanti modi per insegnare, uno dei più efficaci è quello della testimonianza di vita, cioè di come ci comportiamo.
Ogni educatore è maestro in cattedra ma lo è soprattutto fuori dalla cattedra, in tutte quelle situazioni “extra” in cui, spesso senza saperlo, i figli o gli studenti ci guardano e osservano per vedere se siamo coerenti con quanto diciamo nelle situazioni educative “ufficiali” ed in loro presenza. Sono tutti quei contesti in cui i ragazzi imparano molto di più dall’adulto, nel bene o nel male, e ne comprendono l’assoluta incoerenza.
Per questo l’insegnante che, durante la manifestazione antifascista, ha attaccato verbalmente le forze dell’ordine e che, da quello che si legge, non ha chiesto scusa, anzi ne ha accampate diverse a suo favore, dovrebbe prendersi una buona pausa di riflessione e astenersi volontariamente dall’insegnamento!
Se uno solo dei suoi alunni avesse un parente, magari molto vicino, nelle forze dell’ordine, con quale autorevolezza potrebbe ancora insegnargli qualcosa?
Nel momento in cui ci fosse un diverbio ed un litigio – tipico tra bambini e ragazzi – come farebbe a placarli e a farli ragionare? Perché gli alunni dovrebbero ascoltarla?
Spero che non sia per il fatto che anche con loro usa gli stessi toni! Che il Ministero prenda provvedimenti è doveroso, ma i primi provvedimenti – a mente fredda – dovrebbe prenderli la collega e non mostrarsi vittima, poiché è chiaro che è stata vittima di se stessa e della sua mancanza di equilibrio, almeno in quell’occasione.
Manifestare è un diritto così come lottare per ciò in cui si crede, è allo stesso tempo un dovere farlo rispettando gli altri e negando la violenza fisica e verbale, a maggior ragione se sei un docente. Sì, perché non è indifferente il lavoro che si svolge, non sarebbe stata la stessa cosa se ad insultare fosse stato qualcuno senza un ruolo nel campo educativo. Per questo si è scatenato l’inferno mediatico, ma l’inferno è stato già scatenato da lei, dalle sue parole gravi, dalla gestualità violenta, dall’esagerazione della protesta: “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”!
E non è una giustificazione il motivo della lotta, fosse anche il più alto e nobile, perché ogni lotta con questi toni aspri e denigratori non fa che alimentare l’odio e annullarne il valore, mostrando nondimeno gli stessi tratti estremi di ciò contro cui si protesta.
Da docenti dovremmo fare a scuola la nostra lotta contro il fascismo ed ogni regime autoritario tutti i giorni attraverso il dialogo aperto e non “contro”, il confronto libero ma responsabile, l’ascolto dell’altro come occasione per crescere, le letture diversificate per uscire dal senso unico delle ideologie, un linguaggio pacato che non vuol dire arrendevole, il rispetto della persona e della dignità, lo svolgimento del mio dovere con passione e correttezza, lo sforzo di essere fuori dall’aula ciò che sono dentro per non destabilizzare gli studenti. Infine, proprio perché il nostro modo di agire è osservato dagli studenti e umanamente sbagliamo, dobbiamo migliorarci senza cercare auto- giustificazioni; in caso di errore davanti ai ragazzi, chiederemo scusa con umiltà e coraggio!
Nessun augurio di perdere il lavoro, ma se uno solo dei suoi alunni dovesse perdersi, allora sì che quel suo atteggiamento durante la protesta, per niente dissimile da ciò che afferma di combattere, ne sarà gravemente responsabile.
Marco Pappalardo