Ci sono confessionali sempre occupati, con una lunga fila d’attesa e i fedeli che non cercano altro che quel confessore, persino i giovani!
Così era quello della nostra chiesa, entrando subito a sinistra di chi guarda l’altare, uno di quei confessionali vecchio stile, ancora aperti e con l’inginocchiatoio a parte, ammorbidito da un cuscino rosso ricamato a mano da qualche nonna. Don Nino, Salesiano siciliano, la domenica passava là ore intere, sapevi dove trovarlo, e lui ti aspettava, pure durante il periodo acuto di un grave male.
“Cara sorella” e “Caro fratello” o forse era “Sorella cara” e “Fratello caro”, insomma così chiamava chi si accostava al Sacramento della Riconciliazione, conosciuta o sconosciuto che fosse. Accoglieva con un gran sorriso, deponeva il breviario accanto, metteva una mano sulla spalla e ascoltava “di cosa vuoi rendere grazie al Signore”.
In questo modo spiazzava, poiché, mentre eri pronto ad elencare il marcio dei peccati e mostrare il peggio di te, lui ti metteva davanti la gratitudine a Dio e la misericordia per ciascuno: «E ora che dico? Dopo tutto l’esame di coscienza preparato, come dire grazie a Dio? Di cosa?». In realtà Don Nino meravigliava già prima, in quei pochi passi dal luogo dell’attesa del turno, finalmente arrivato, e l’inginocchiatoio: «Che cos’è questa faccia triste? Sono io che ti spavento o è Dio? La mia brutta faccia puoi anche temerla, ma il volto amorevole di Dio no. Coraggio allora, un sorriso!».
In fondo, chi di noi non aveva ed ha bisogno di questo incoraggiamento? Da quel momento cambiava tutta la prospettiva e la confessione diveniva un riconoscimento dell’amore del Padre per ciascuno, della fatica del saperlo ricambiare, e soprattutto l’impegno a superare le difficoltà riscontrate e quanto ci rende tristi. Dimenticavo: la mano sulla spalla, quel tocco delicato e forte allo stesso tempo, che mi ha sempre fatto sentire il figliol prodigo del quadro di Rembrandt, inginocchiato davanti al Padre con le due mani, da padre e da madre sulle spalle. Capivo così che la formula assolutoria espressa dal sacerdote non era qualcosa di teorico, ma aveva a che fare con tutta la mia umanità e ciò mi chiedeva non una conversione di pensiero, bensì di tutto me stesso, carne e sangue. Non c’era penitente che si alzasse triste dal confessionale, anzi il sorriso e la gioia sgorgavano con naturalezza, in qualcuno, persino le lacrime di commozione.
Don Nino era anche un ottimo oratore, un po’ lungo per la verità, ma sapeva tenere l’assemblea, pure in presenza di bambini e ragazzi. Riusciva a farsi ascoltare pure in quelle difficilissime messe di Comunioni e Cresime, placando in partenza i fotografi, ammaestrando i genitori ansiosi più dei figli, coinvolgendo i ragazzi in un bel dialogo.