L’archetipo paterno alla prova della post-modernità
Massimo Recalcati rilegge il contemporaneo alla luce di due immagini del nostro patrimonio culturale e spirituale, il dramma greco di Edipo e la parabola del Padre Misericordioso. Tragedia e Vangelo diventano così due modi per interpretare il ruolo di padre, custode – secondo lo psichiatra – della memoria e della speranza. Essere padre vuol dire mettersi in cammino per uccidere o per accogliere il figlio, che scopre la sua alterità in un ineluttabile scontro.
A ciascuno la scelta
Vivere come Laio, che, pur di salvare se stesso, non esita a decidere la morte del figlio Edipo, o come il Padre della parabola. Entrambi verranno “uccisi” dai figli: Laio fisicamente, il Padre spiritualmente; il primo, però, è e resta uno sconfitto, il secondo riguadagna il figlio perduto.
Leggendo da un punto di vista psicologico i testi, si scopre che, nella forma del racconto, si celano le profonde questioni della paternità: l’esigenza del figlio di distinguersi, il conflitto generazionale, il difficile equilibrio tra autorità e autorevolezza.
La soluzione non è nel rifiuto del confronto, ma nella disponibilità a morire per l’altro, affinché l’altro sia sedotto dall’amore e non costretto dall’autorità.
Un solo appunto ad un discorso di grande profondità: l’essere paterno e l’essere materno non possono essere ridotti, come ha affermato Recalcati, a “luoghi”, che possono essere rappresentati sia da uomini che da donne, al di là della caratterizzazione sessuale: stiamo trattando di persone; e le persone hanno in sé un’identità anche sessuale e psico-affettiva. Possiamo trascurare ciò?
Non credo: se è vero che la paternità è un cammino verso…, è altrettanto vero che non ci si può “mettere in viaggio” senza aver fatto i conti con il nostro essere che è identità relazionale.
È nella riscoperta della complementarietà generativa, che non ammette intercambiabilità, né rapporti gerarchici, che si gioca il vero rapporto di genitorialità responsabile.