Pirati dei caraibi: la vendetta di Salazar
Titolo Originale: Pirates of the Caribbean: Dead Men Tell No Tales
Regia: Joachim Rønning, Espen Sandberg
Cast: Johnny Depp, Javier Bardem, Brenton Thwaites, Kaya Scodelario, Kevin R. McNally, Orlando Bloom e Geoffrey Rush
Casa di Produzione: Walt Disney pictures e Jerry Bruckheimer films
Target: Preado+
“Trova Sparrow per me e dagli un messaggio dal Capitan Salazar: digli che un giorno vedrò la luce del giorno, e che quel giorno… la morte verrà a prenderlo.
Glielo andrai a riferire, ti prego? Glielo direi io stesso ma… i morti non parlano.”
[RECENSIONE SPOILER!]
Ormai arrivata al suo quinto capitolo, la saga dei Pirati dei Caraibi, ahimè, non riesce a soddisfare le aspettative, creando un’avventura abbastanza deludente, contendendosi con il quarto film (Oltre i Confini del Mare) il titolo di “peggior capitolo della saga”.
Intendiamoci, non si tratta di un disastro completo – è comunque una divertente e avvincente avventura per i sette mari (che scorre con un buonissimo ritmo!), in compagnia di personaggi che ormai si conoscono molto bene e che si ha voglia di rincontrare. Semplicemente non se ne sentiva così il bisogno, forse, e sicuramente il prodotto finale non risulta così originale come il produttore Jerry Bruckheimer aveva più volte dichiarato.
Ammettiamolo, i fasti di Ai Confini del Mondo sono inarrivabili
Forse sarebbe stato meglio avere il coraggio di chiudere la saga dopo la prima trilogia, per evitare di “allungare il brodo” fino ad arrivare a non saper più bene che storia raccontare.
Come per la colonna sonora (qui per la prima volta creata senza alcun appoggio da parte di Hans Zimmer, storico compositore della saga dei Pirati, ma da un suo allievo, Geoff Zanelli), il film ricicla molto materiale già visto nelle pellicole precedenti. L’effetto che si ha è comunque di un gradevole film d’intrattenimento, con una buona trama che fila abbastanza bene, ma risulta un po’ artificiosa: in parole povere il film funziona, ma è pur sempre, per larga parte, un riciclo di idee.
La regia di Rønning e Sandberg è buona, ma manca ancora il tocco di Verbinski (regista dei primi tre capitoli); l’unica cosa che non fa recriminare nulla è l’apparato degli effetti speciali: dallo spettrale villain all’apertura delle acque, il reparto VFX è una gioia per gli occhi. Passando a parlare dei singoli personaggi, la prima enorme mancanza la troviamo nel personaggio chiave del franchise, proprio il leggendario Capitan Jack Sparrow.
Jack, purtroppo, per la maggior parte del tempo non sembra nemmeno lui: a parte essere il motore dell’azione (il motivo che spinge il villain di Bardem a “risvegliarsi”) fondamentalmente non ha ruolo nello svolgimento della narrazione, né un ingegnoso piano in mente, nulla – è semplicemente relegato al ruolo di spalla comica, con battute per la maggior parte altalenanti tra squallore ed eccessiva puerilità.
Una delle cose che ho trovato più incoerenti con il personaggio di Jack Sparrow (oltre alla sequenza del flashback di cui parlerò più avanti) è la sua reazione a Barbossa che lancia in mare la Perla Nera, mentre sta uscendo dalla bottiglia in cui Barbanera l’aveva rinchiusa. Jack semplicemente si limita a dire: “Era una bella nave”. Sul serio? Tutto qui? È la nave per cui Jack avrebbe dato la vita, il suo amore da sempre (“Ciò che la Perla Nera è… è libertà”, diceva ne La Maledizione della Prima Luna) e tutto ciò che gli viene da dire è questo, quando sembra che stia affondando nelle profondità? Come minimo mi aspettavo un urlo dei suoi (tipo “Perché hai bruciato il rum?”) o una reazione più simile a quella che aveva avuto in Oltre i Confini del Mare quando scopre da Barbossa che la Perla è stata presa da Barbanera. Quella della “liberazione” della Perla Nera è una delle sequenze, a mio parere, più divertenti del film, se non fosse stato per quella battuta di Jack. Sarebbe stato meglio piuttosto il silenzio e una semplice faccia allibita, e sarebbe stata una scena perfetta. Peccato.
Ciononostante anche il buon Jack ha i suoi bei momenti. Ad esempio quando appoggia la sua amata Perla in bottiglia sul Gabbiano Morente, in modo che sembri far parte dell’orizzonte e la guarda con sguardo rassegnato. In quel momento, seppur triste, vediamo gli occhi del nostro Jack.
O come nello scambio di battute con Barbossa riguardo alla moglie, e madre di Carina, Margaret Smyth. O come quando solleva la Perla grande quanto un modellino, chiedendosi: “È ristretta. Perché non si ingrandisce?” O come quando, ripartendo da riva a bordo della Perla Nera al momento capitanata da Barbossa, urla: “Siamo al sicuro solo in terraferma. Perché lasciamo la terraferma?! Chi lo sa?” O come quando saluta per sempre il nemico divenuto in qualche modo amico, con un semplice ma incisivo “Vita da pirata, Hector”.
Fino alla scena finale, che ho davvero amato.
Di tutte forse è la scena che ha restituito di più il vero Jack. Di nuovo al timone della sua amata Perla Nera, con la sua fidata ciurma (Mastro Gibbs in primis) e l’eredità di Barbossa sulla spalla (= la scimmia Jack, con cui fa pace), il Capitan Sparrow si dirige oltre il suo amato orizzonte.
E veniamo alla scena del flashback: l’ho trovata decisamente artificiosa e abbondantemente farcita di incongruenze.
Come fa Jack, ad esempio, a sapere che è stato soprannominato “passero” (= sparrow, in inglese) da Salazar, tanto da decidere di prendere quel soprannome come cognome (e poi perché?), se non gli viene detto dal capitano spagnolo prima che questi muoia nel Triangolo del Diavolo? E ancora: qui ci viene mostrato Jack che riceve la bussola dalle mani del morente ex capitano della Perla Nera (ai tempi nemmeno chiamata con quel nome), mentre ne La Maledizione del Forziere Fantasma, Tia Dalma aveva chiaramente detto che Jack aveva ottenuto da lei quella bussola.
Dobbiamo pensare che Jack avesse barattato con Tia Dalma la bussola per conto del suo capitano, il quale poi l’ha a lui restituita in punto di morte? Tutto può essere, ma sembra di arrampicarsi un po’ sui vetri, no? Infine l’ultima scena: ogni pirata della ciurma della futura Perla Nera lascia un suo “qualcosa” a Jack in segno di riconoscenza o auspicio come neo-capitano, non lo so.
Non mi sembra molto probabile come evento.
Non è che quando morì Sao Feng in Ai Confini del Mondo, tutta la ciurma regalò migliaia di oggetti a Elizabeth…
Jack ha, non solo fisicamente, perso un po’ la bussola in questo quinto episodio.
Torna ad essere al 100% il Jack che conosco solo nell’ultima (già citata) scena. Se questo significa che nel prossimo film riavremo il vecchio Jack Sparrow, potrei scusare ogni cosa accaduta in questo capitolo, che assumerebbe più una valenza “di raccordo”. Del resto, Jack qui si presenta completamente ubriaco, a terra da cinque anni, senza la Perla Nera da venti e a un certo punto pure abbandonato dalla sua ciurma, fedele Gibbs compreso. Se fosse solo un momento transitorio, e non la definitiva parabola discendente del leggendario pirata interpretato da Johnny Depp, potrei dire che la storia giustifica questo suo “perdere la bussola” (per di più potrebbe diventare anche metaforico, visto che effettivamente per quasi tutta la durata di La Vendetta di Salazar, Jack rimane senza bussola).
Continuando a parlare dei personaggi, vale la pena spendere qualche parola per le new entry Henry e Carina, che – seppur in modi diversi – cercano di ricalcare i ruoli che furono di Will ed Elizabeth nella trilogia originale. Se Henry Turner risulta un po’ “sterile” (somigliando all’esordio di suo padre, Will, ne La Maledizione della Prima Luna), tutto il contrario è Carina Smyth-Barbossa. Il personaggio della Scodelario è caratterizzato come il più intelligente del gruppo (alle volte fin troppo, col rischio di risultare un po’ antipatica, in modo simile all’Hermione Granger di Harry Potter e la Pietra Filosofale), ed è quello che più fa progredire la storia.
Javier Bardem ci regala un’altra delle sue meravigliose performance nei panni del Capitan Salazar, un villain senza pietà, nettamente superiore al Barbanera di Oltre i Confini del Mare, ma ad ogni modo inferiore al mitico Davy Jones. Ho trovato geniale (a livello di caratterizzazione del personaggio) la scena in cui Salazar minaccia Barbossa, facendo giustiziare un membro del suo equipaggio ogni volta che batte la spada per terra.
L’unico personaggio a brillare in questo quinto capitolo, e da questo a guadagnare davvero qualcosa in termini di caratterizzazione, è il Capitan Barbossa di Geoffrey Rush,
che riesce a trovare e interpretare egregiamente nuove sfaccettature dell’amato briccone, prima ricco dominatore del mare (suo sogno sin da La Maledizione della Prima Luna, dove si era fatto abbindolare da Jack con la promessa di ottenere il titolo di “commodoro”) e poi padre che ritrova la figlia perduta.
Ed è proprio in quest’ultima veste che Barbossa viene visto sotto una nuova luce: non è più il semplice pirata che rubò il tesoro di Cortez e poi la Perla Nera, ma nemmeno solo colui che salvò Jack Sparrow dallo scrigno di Davy Jones e che sfidò quest’ultimo liberando Calypso, e nemmeno l’uomo approfittatore che usò gli inglesi per arrivare a Barbanera e vendicarsi di quest’ultimo.
Ora Barbossa ci viene presentato come un padre premuroso, che abbandonò la figlia dopo la morte della madre, lasciandole un rubino perché potesse vivere la vita agiata che lui non avrebbe potuto darle. Di una tenerezza infinita è la scena in cui Barbossa capisce di essere il padre di lei e controlla che sia davvero così aprendo la bussola di Jack che, lo ricordo, punta in direzione della cosa che più vuoi al mondo.
Ed è così che Hector Barbossa, conosciuto come un nemico, divenuto un personaggio iconico della saga, un antieroe buono, e ora un padre, riesce a guadagnarsi una morte da eroe sacrificandosi per la figlia ritrovata e per tutti i suoi alleati e (in fondo) amici, nella scena più emozionante di tutto il film.
Meno drammatica, ma non meno emozionante, è la reunion tra Will Turner ed Elizabeth Swann, a dieci anni dal terzo capitolo.
Getto per un momento uno sguardo al futuro, spendendo due parole riguardo all’inquietante scena post-credits: Davy Jones è tornato. O così pare.
Tralasciando i come e i perché, voglio dire solo una cosa. Certo, nessun villain di Pirati dei Caraibi potrà mai essere più iconico di lui, e capisco che avendo come obiettivo la conclusione della saga con il sesto capitolo non sapessero che pesci prendere, ma c’era davvero bisogno di ricorrere al vecchio Jones? E soprattutto… c’è ancora qualcosa di nuovo da raccontare su di lui?
Altra richiesta personale: nessuno cerchi di resuscitare (di nuovo) Barbossa!
È ovvio che è un personaggio emblematico del franchise e che si sentirà la sua mancanza, ma è giusto così: in questo quinto capitolo si è guadagnato una morte onorevole e ha lasciato comunque un’eredità, riportarlo in vita toglierebbe tutta la drammaticità del suo ultimo gesto (oltre che risultare quasi una presa in giro: sarebbe la seconda volta che muore e poi torna in vita…).
Gli autori si prendano la responsabilità di ciò che hanno scritto!
Ho trovato davvero toccante e significativa la metafora del “tesoro”, vero cuore del film.
Il tesoro, come saggiamente aveva detto il Capitan Jack nel primo capitolo (“Non tutti i tesori sono d’oro e d’argento”), è l’amore (di Barbossa per Carina, di Will per Elizabeth… e anche di Jack per la Perla Nera, per insolito che sia!).
Ho trovato davvero gradevoli tutti i riferimenti all’eredità di cui La Vendetta di Salazar si fa carico e sul cui solco cerca (purtroppo in maniera abbastanza goffa) di inserirsi, quali la “maionese” citata da Jack nella scena della ghigliottina (da La Maledizione della Prima Luna) e il tentativo di minaccia da parte di Henry nei confronti di Jack (come aveva fatto suo padre prima di lui, sempre nel primo capitolo), o ancora la gag dei due capitani della Perla Nera (da Ai Confini del Mondo), tanto per fare qualche esempio. Tra incongruenze, errori e comicità non riuscita, trovano spazio anche ottime scene d’azione (su tutte la rapina alla banca o l’attacco della Silent Mary alla Perla Nera con conseguente scontro a fil di spada – forse troppo breve – tra Salazar e Sparrow), un comunque gradevole cameo di Paul McCartney nei panni di un altro parente di Jack, dopo il padre Keith Richards, e inquietanti squali fantasma, che non hanno nulla da invidiare agli zombie di Barbanera o alle sirene di Whitecap Bay.
Mi scuso per essermi dilungato tanto.
Da appassionatissimo fan della saga di Pirati dei Caraibi quale sono, sentivo la necessità di esprimere tutte le mie opinioni su questo ultimo capitolo del franchise. Concludo consigliando comunque la visione di La Vendetta di Salazar, perché pur nel suo essere molto lontano dalla perfezione o dall’epicità dei primi capitoli, tira le fila – nel bene o nel male – di tutto ciò che è successo nei quattro precedenti episodi, sancendo così (per tante diverse ragioni) un punto di non-ritorno per tutti i nostri amati personaggi, che nel finale si ritrovano in una condizione molto simile a quella che ci presentava la conclusione de La Maledizione della Prima Luna.
Possiamo dire che si sia chiuso il cerchio?
No, ma si può dire che forse ci fosse l’intenzione di farlo, seppur maldestramente tramontata in corso d’opera. Ora non resta che riprendere la bussola in mano e vedere che cosa si nasconde oltre l’orizzonte, sperando in un sesto e degnamente conclusivo capitolo, che possa riportare giustizia al Capitano Jack Sparrow e a tutti i suoi pirati dei caraibi.