Padre Solalinde, annunciare Dio nel cammino verso i poveri
Sono con padre Alejandro Solalinde, sacerdote di frontiera, candidato al Premio Nobel per la pace, grazie al suo impegno nella lotta contro i narcotrafficanti messicani; ha fondato una casa di accoglienza per coloro che fuggono dai Paesi latinoamericani sperando in un avvenire migliore negli Stati Uniti.
Questi migranti, tuttavia, sono costretti ad attraversare il Messico: lì sono una preziosa fonte di lucro per i narcos, in quanto sono impiegati nei loschi traffici della malavita, dalla prostituzione, alla vendita di organi, dalle estorsioni alla manovalanza criminale. Ma Dio non si è dimenticato della sofferenza, e padre Solalinde ne è la testimonianza vivente: rischia quotidianamente la vita (su di lui i narcos hanno posto una taglia di un milione di dollari) per rendere presente la tenerezza di Dio tra gli ultimi.
Davanti al dramma di iniquità umana è facile rinnegare Dio: chi è Dio per lei?
Il mio Dio, il nostro Dio è un Dio vivo, un Dio di tutti, per tutti, e con tutti. È il Dio che si è rivelato in Cristo. Dio è Padre, ma anche Madre, e in Cristo e nello Spirito Santo è mio maestro, amico, ispiratore. Nella relazione con la Trinità vivo la grazia per essere un vero uomo, altrimenti sarei il peggiore dei sacerdoti.
La fede mi è stata insegnata dai migranti: vivo con loro e per loro, li aiuto e nelle loro sofferenze incontro il Signore.
Lei si trova a combattere con i narcotrafficanti per i diritti dei migranti, eppure non nutre odio nei loro confronti: come è possibile?
I narcotrafficanti sono le prime vittime: se avessero fatto esperienza di Dio, non sarebbero narcos!
Io chiedo perdono a quanti appartengono al cartello di Los Zetas (l’organizzazione criminale più sanguinaria in Messico): è vero che hanno compiuto e ancora oggi compiono delitti tremendi, ma sono vittime di una società che non li ha formati.
Chiedo perdono per le loro famiglie, che non hanno insegnato l’amore; chiedo perdono per le scuole, incapaci di offrire una formazione umana; chiedo perdono per la Chiesa locale, che non li ha generati alla fede.
È facile negare le proprie responsabilità e adoperarsi formalmente per la repressione: il cuore del problema è che Los Zetas è un prodotto del Messico e che complici siamo tutti.
La società, specialmente in Europa, ha perso di vista l’orizzonte cristiano. Da dove partire per una nuova evangelizzazione?
Il cattolicesimo in Europa è considerato solo come un elemento della cultura, la religione è vista come una forma di folklore, non c’è l’idea di trascendenza.
Le cause di questo atteggiamento sono storiche: la credibilità della comunità cristiana si è affievolita, purtroppo, per il legame di alcuni uomini con l’idolo della ricchezza e del potere.
Lo stesso sta accadendo in Messico: parte della gerarchia, per mantenere la tranquillità, rimane in silenzio davanti agli orrori dei narcos, addirittura molti criminali si professano cristiani.
Alle origini del cristianesimo, l’Europa è stata la culla della Chiesa che si organizza come comunità di fede; la Chiesa perseguitata, che si stabilizza lentamente, è costretta dalle persecuzioni all’itineranza, ma è una Chiesa forte e ricca spiritualmente sa essere testimone della vita nuova.
Purtroppo, il compromesso col denaro e il potere ha reso difficile e contraddittorio l’annunzio del Vangelo.
È necessario convertire la struttura, non distruggerla: non si deve smantellare la gerarchia, ma formare pastori santi. Se la Chiesa, come afferma papa Francesco, riscopre il proprio essere in cammino verso gli ultimi, potrà avvenire una nuova evangelizzazione: riacquisirà il suo vero potere, cioè formare le coscienze alla luce della Parola di Dio e del magistero, secondo la missione indicata da Cristo: “Vi farò pescatori di uomini” (Mc 1,17).