Molti giocano a fare Dio
Manchester, primi anni ’50. Alan Turing, brillante matematico ed esperto di crittografia, viene interrogato dall’agente di polizia che lo ha arrestato per atti osceni. Turing inizia a raccontare la sua storia partendo dall’episodio di maggiore rilevanza pubblica: il periodo, durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui fu affidato a lui e ad un piccolo gruppo di cervelloni, fra cui un campione di scacchi e un’esperta di enigmistica, il compito di decrittare il codice Enigma, ideato dai Nazisti per comunicare le loro operazioni militari in forma segreta.
È il primo di una serie di flashback che scandaglieranno la vita dello scienziato morto suicida a 41 anni e considerato oggi uno dei padri dell’informatica in quanto ideatore di una macchina progenitrice del computer. Un film dove storia e umanità vanno di pari passo con innovazione e sentimento.
The Imitation Game rivela le sue intenzioni fin dal titolo.
Infatti vediamo un gioco di sotterfugi e contraffazioni che riguarda non solo il codice nazista della macchina Enigma, ma anche la stessa attività del gruppo di esperti riuniti per decifrarlo, costretti ad operare sotto copertura e in un campo base fuori dal mondo. Più profondamente, il “gioco imitativo” caratterizza la vita stessa di alcuni di quegli scienziati, Turing in testa, obbligato a nascondere la propria diversità al mondo, e in particolare a quella società inglese che sforna eccentrici e poi li confina ai margini del proprio rigido e ottuso conformismo.
Turing, è il martire perfetto, in questo schema chiuso
Infatti immolerà il suo genio per la salvezza di tutti, costruendo un macchinario di nome Christopher (cioè “colui che porta Cristo”), e cadendo vittima della ristrettezza di vedute di chi non possedeva neanche un grammo della sua capacità visionaria. Una mente prodigiosa costretta a vivere “in codice”, e incapace di decifrare i comportamenti altrui, né di tradurre i propri in comunicazione umana.
Alla domanda di un suo collega “Perché giochi a fare Dio?” Tuning risponderà “non gioco, io sono Dio”: forse questa pretesa e presunzione non è estranea alla nostra quotidianità.