Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù.
“La misura per amare Dio è amare senza misura”
(S. Bernardo da Chiaravalle)
Tra qualche giorno entreremo nel tempo forte della Quaresima. Un momento dell’anno liturgico nel quale la Chiesa ci pone, con sapienza, molte occasioni per compiere un fecondo cammino di conversione.
Ci viene dunque proposto un cambio di passo, la conversione infatti è proprio un cambiare direzione per convergere altrove. Nella Evangelium Gaudium, l’Altrove da raggiungere ci chiede di “osare” di più il Vangelo, di incontrare le periferie, di essere portatori di una Chiesa che «non cresce per proselitismo ma per attrazione” (EG 288)
Cambiare il passo significa escogitare vie nuove, abbandonando «il comodo criterio del si è sempre fatto così…» (EG 33). In questa prospettiva di novità, che la conversione porta sempre con sé, ci è chiesto di provare ad acquisire uno sguardo ecclesiale più armonico e benevolo verso i movimenti, le associazioni e le nuove comunità, capace di tradurre concretamente l’invito di San Paolo: «amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda». (Rom 12)
Già questo prima nuova via sarebbe un bel cambio di prospettiva se pensiamo che non di rado le nostre Chiese locali sono stanche e infiacchite e sperimentano un certo immobilismo con chiusure che le rendono come una dogana (EG 47). Eppure Papa Francesco ci richiama spesso e lo fa anche nella Evangelii Gaudium, a vivere «un’eterna novità» (EG 11).
Continuo è l’invito a scoprire le tante periferie e soprattutto quale è la nostra periferia. Per fare questo c’è però bisogno di un profondo ascolto nello Spirito.
In questo viaggio di conversione nello spirito ci possiamo far aiutare da Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli» (Rom 4,18). La fede granitica di Abramo ci invita a lasciarci afferrare da Colui che «lo condusse fuori e gli disse: Guarda in cielo e conta le stelle… Tale sarà la tua discendenza» (Gen 15,5). La fecondità di grazia che il Mistero Pasquale riserva ad ogni creatura, trova la sua origine proprio in questo lasciarsi condurre nel deserto delle nostre periferie, nel buio dei nostri dubbi, delle nostre fatiche, del nostre sofferenze… E contare le stelle!
L’atteggiamento di Abramo ripiegato in se stesso, con le sue paure e le sue solitudini, ricorda talune comunità educanti che, per paura della nuova vita che cresce intorno a loro, preferiscono restare chiuse aggrappandosi a inconsistenti tradizioni e falsi dogmi. Abramo però, con l’aiuto di Dio, trova il coraggio di alzare lo sguardo al cielo e aprirsi alle possibilità infinite che Dio stesso gli riserva. Il Signore lo chiama a smettere di fare i suoi calcoli limitati e schiudere il suo cuore a una speranza nuova… E il cuore, aprendosi, comincia a battere forte!
Un grande santo, Bernardo di Chiaravalle, interrogandosi su come si debba amare Dio, scopre che «la misura per amare Dio è amare senza misura». L’amore, dice San Giovanni Paolo II, ha delle caratteristiche precise. Esso è vero quando crea il bene delle persone e delle comunità, lo crea e lo dona agli altri. Soltanto chi, nel nome dell’amore, sa essere esigente con se stesso, può anche esigere l’amore dagli altri.
In questa ormai vicina Quaresima, come singoli cristiani e come comunità, sentiamoci chiamati ad un cambio di passo che converga all’incontro col Cristo Crocifisso e Risorto per amore. Da tale incontro poi, scaturisca il desiderio di vivere e operare in una Chiesa sempre più “in uscita”.
Così come papa Francesco ci ripete i più occasioni e anche nella Evangelii Gaudium:
“Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37)” (EG49).