Ecumenismo secondo Francesco: cammino di Verità
La visita di Papa Francesco, domenica 26 febbraio, presso la parrocchia anglicana di “All Saints”, a Roma, rappresenta un nuovo passo nel cammino di ecumenismo tra le confessioni cristiane.
Preghiera, riflessione, dialogo, incontro, ma anche confronto chiaro e veritiero, per cogliere i punti di contatto, ma anche le differenze che ci contraddistinguono.
L’occasione, naturalmente, ha acceso il dibattito sulle modalità per interloquire, in altri termini: da dove si deve partire per il cammino di riconciliazione?
La strada apparentemente seguita dal Pontefice sembrerebbe privilegiare il punto di vista sociologico: unità nell’azione caritativa e accantonamento delle differenze teologiche.
Ciò è stato affermato chiaramente nell’ambito della seconda domanda rivolta al Papa, nella quale si ponevano in contrapposizione Benedetto XVI (legato alla riflessione teologica) e lo stesso Francesco.
Eppure, ad una riflessione più attenta dell’opera ecumenica dell’attuale Pontefice, si scorge una marcata attenzione al problema della Verità.
Ecumenismo non vuol dire dimenticare le differenze, non vuol dire rinnegare il deposito della fede di cui il garante ultimo è proprio il Papa.
Se si pensa così, è perché siamo stati abituati ad un’idea di dialogo che prescinde dalla realtà dei fatti; in fin dei conti, nei diversi campi delle relazioni, non sappiamo dialogare, sappiamo contrattare, negoziare, trovare un punto di equilibrio tra interessi contrapposti.
Secondo questa visione, Papa Francesco starebbe cercando una posizione comune su cui convergere con i fedeli di altre confessioni e l’avrebbe trovato nella carità.
Ma è assurdo e fuorviante un’analisi tanto riduttiva dello slancio ecumenico della Chiesa.
Il Santo Padre sa che il dialogo ecumenico non prescinde dalla Verità, ma la presuppone; è pienamente consapevole (e l’ha affermato chiaramente nell’omelia tenuta presso la parrocchia anglicana) che i cattolici non possono accettare passivamente la Tradizione anglicana (pensiamo solamente alla questione dell’ordinazione sacerdotale per le donne, o al primato petrino, o ancora al divorzio), ma è altresì convinto che non si può restare indifferenti davanti a questi nostri fratelli, generati dall’unico Battesimo.
Cattolici e anglicani siamo quei vasi di creta che custodiscono all’interno il tesoro della Grazia; entrambi siamo soggetti ai colpi della tentazione e rischiamo di cadere, vanificando il percorso intrapreso, ma non per questo dobbiamo interrompere il cammino.
Di fronte al dramma della società contemporanea che si è allontanata da Cristo, è necessario mettere da parte le divisioni per annunziare con la vita e con le parole la novità del Vangelo, senza titubanze o rivalità.
Se noi cristiani non siamo “un solo Corpo”, mostreremo in modo falsato e frammentario il Volto di Cristo e non saremo credibili.
Pertanto, Papa Francesco, più che spostare la visuale dal piano teologico al piano sociologico, sta chiamando la cristianità (cattolici, ortodossi, anglicani, protestanti) a conversione, a riscoprire il fondamento battesimale e scritturistico del nostro essere figli di Dio.
E le differenze si appianeranno non perché qualcuno avrà rinnegato la propria identità, ma perché tutti saranno rinnovati da quello stesso Spirito che, a Pentecoste, ha ricostituito l’unità delle lingue e del pensiero, che si era disgregata nell’egoistica Babele.
Andrea Miccichè