L’omelia coi tortellini

Dell’omelia della messa di Natale ricordo distintamente che il parroco ha citato tre volte i tortellini in brodo fatti in casa, mentre di quella del primo dell’anno mi è rimasto impresso l’augurio, prima della benedizione finale, di vincere al “gratta e vinci”.

Passare le feste natalizie in trasferta ha una serie di vantaggi tra cui quello di partecipare per un po’ alla vita comunitaria di altre parrocchie e realtà ecclesiali, e ascoltare sacerdoti diversi dai soliti.

Penserete che non mi sia andata così bene la trasferta sotto questo aspetto! Invece no, sono stato proprio graziato e avevo necessità di sentirmi dire queste parole.

Avevo bisogno dei tortellini che mi richiamassero alla concretezza di un Dio che si è fatto uomo, riscoprendo un Natale che non è teologia, catechetica, filosofia, archeologia, estetica, etica, un genere letterario, un’ultima ora.

Sentivo il desiderio che quell’evento unico di più di duemila anni fa avesse un sapore e un odore buono, vero, conturbante, evocativo, antico e sempre nuovo, e non quello “di chiuso” e vecchio di certi addobbi e presepi conservati per un anno privi di aria. Per me era importante che ogni pastore prendesse vita e che qualcuno mi aiutasse ad assumerne gli abiti rassicurandomi che, come loro sotto la Stella allora, io non ero fuori posto in chiesa nonostante le mie debolezze, i peccati, i limiti, la diversità.

Quell’annuncio è stato per loro ed è per me; e, ieri come oggi, ha il gusto della festa e, perché no, il profumo di un bel piatto di tortellini preparati per amore e con amore! È l’attimo del Natale o il Natale in un attimo, quello in cui – se ami fortemente – incontri Gesù nella tua vita, ti senti voluto bene, mentre rimani con gli occhi spalancati e le braccia aperte alla maniera di quel pastorello che non può mancare nel presepe. E, se voluto bene, non dormi come quell’altro pastore tipico, non vedi l’ora – come i bambini – che arrivi la luce del giorno per scartare i regali che non sono altro, poi, che frutto di un gesto di amore.

E il “gratta e vinci” fortunato, augurato alla fine della messa per la solennità della Madre di Dio, tutta cantata e solenne?

È stato un coup de theatre per il momento in cui è stato detto, efficacissimo per la serietà con cui il sacerdote l’ha detto, stridente al punto giusto in relazione alle parole della benedizione finale, necessario e stimolante perché il “bene-dire/dire-bene di Dio” restasse impresso:

Iddio, sorgente e principio di ogni benedizione, effonda su voi la sua grazia e vi doni per tutto l’anno vita e salute.
Iddio vi custodisca integri nella fede, pazienti nella speranza, perseveranti nella carità.
Iddio disponga opere e giorni nella sua pace, ascolti ora e sempre le vostre preghiere
e vi conduca alla felicità eterna.

Marco Pappalardo (da www.vinonuovo.it)