“Il Verbo si fece carne”
Gv 1, 14-18
In questa vigilia di Natale così carica di tragedie, guerre, stragi e violenza abbiamo tutti bisogno di recuperare una prossimità forte, essenziale e oserei dire carnale. Ciò che Papa Francesco ci mostra fin dagli inizi del suo pontificato, è di avere uno sguardo reale sui poveri, guardando a Colui che si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cfr. 2 Cor 8,9).
Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire che cosa sia la povertà del Signore che si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada.
E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione.
Il Papa torna su questo tema a lui caro e nell’Evangelii Gaudium dice:
“La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo”. (EG 24)
La carne sofferente di Cristo cosa ha a che fare con il Dio Bambino che vanno a visitare i pastori e i magi?
Il Bambino che nasce nella stalla di Betlemme è povero perché non ha trovato luogo migliore per venire al mondo ed è profugo perché deve scappare da Erode che lo vuole uccidere. Questo Dio Bambino è la Buona Notizia che irrompe nella storia del mondo di allora che, come adesso, ha un grande desiderio di Luce, Pace, Bene. Lui nasce di notte quando non si distingue bene la forma delle cose e della vita; quando è facile perdersi nel buio del sospetto, della sfiducia. Gesù viene nella notte e genera nuove relazioni (Cfr. EG 87).
A questo punto il rischio di noi cristiani, che Papa Francesco definisce la tentazione degli operatori pastorali (cfr. EG 76-109), è proprio quella di non accogliere questa novità continuando a vivere il nostro comodo privato.
Molti tentano di fuggire dagli altri verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei più intimi, e rinunciano al realismo della dimensione sociale del Vangelo. Perché, così come alcuni vorrebbero un Cristo puramente spirituale, senza carne e senza croce, si pretendono anche relazioni interpersonali solo mediate da apparecchi sofisticati, da schermi e sistemi che si possano accendere e spegnere a comando.
Nel frattempo, il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza. (EG 88).
Questo è il messaggio e la sfida del Natale, di ogni Natale, anche in tempi così faticosi e in situazioni che ci rendono così fragili perché “Nei deserti della società sono molti i segni della sete di Dio” (EG 86) e per placare tale sete “c’è bisogno di persone di speranza” (EG 86).
La speranza entra nel mondo con l’Incarnazione di Gesù, Dio cammina con noi in Gesù e camminare con Lui verso la pienezza della vita ci dà la forza di stare in maniera nuova nel presente, anche quando è faticoso. Ci vuole fede e il cristiano è chiamato ad una fede viva, autentica, scomoda.
“Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo”(EG 183).
“Non preoccupiamoci unicamente di cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino luminoso di vita e di sapienza
(EG 190).
Ci sarà occasione, nei prossimi mesi, di tornare a parlare della povertà e di approfondirne il senso nell’Evangelii Gaudium. Terminiamo questo contributo natalizio alla lettura dell’Evangelii Gaudium ritornando sulla incarnazione intesa come farsi carne, scoprendo ancora una volta – se mai ce ne fosse stato bisogno – quanto le parole di Papa Francesco sono profetiche e rivoluzionarie in EG 193:
“L’imperativo di ascoltare il grido dei poveri si fa carne in noi quando ci commuoviamo nel più intimo di fronte all’altrui dolore”.
Poco sopra ci aveva detto che Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza.
Commozione, cioè muoversi verso l’altro e tenerezza, tendere verso l’altro, hanno il medesimo significato. Dunque la tenerezza è veramente rivoluzionaria perché non solo accorcia le distanze, non solo ci mette in movimento ma, soprattutto perché ci fa entrare nel mistero stesso dell’incarnazione. Ci fa entrare nel Natale. Anzi ci fa essere Natale!
Per questo Natale ci lasciamo fare gli auguri da una grande martire del novecento che è andata verso la carne di Cristo così:
“Ho sempre pensato – e forse è un azzardo –
che il mistero dell’Incarnazione
sia più grande della Resurrezione.
Perché un Dio che si fa bambino…
e poi ragazzo… e poi uomo,
quando muore non può che risorgere”
(Edith Stein)