L’ode a Benedetto del successore Francesco
Bergoglio firma la prefazione di un volume, edito da Cantagalli, che raccoglie i testi del Papa emerito sul sacerdozio.
Un uomo “di pace”, un uomo di Dio, un uomo “che veramente crede” e “veramente prega”, che “impersona la santità” e che è “maestro” della “teologia in ginocchio”.
Sono le pennellate che delineano l’immensa figura di Joseph Ratzinger, il Papa emerito Benedetto XVI. L’‘artista’ che le traccia non è un teologo né un vaticanista, né uno scrittore o un fedele osservatore del magistero ratzingeriano, bensì il suo successore Francesco che firma la prefazione del volume “Insegnare e imparare l’amore di Dio”.
Edito da Cantagalli, esso è il primo di un’antologia di testi del Papa bavarese sul sacerdozio che riunisce 43 omelie a partire dal 1954.
“Ogni volta che leggo le opere di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI mi diviene sempre più chiaro che egli ha fatto e fa ‘teologia in ginocchio’: in ginocchio perché, prima ancora che essere un grandissimo teologo e maestro della fede, si vede che è un uomo che veramente crede, che veramente prega; si vede che è un uomo che impersona la santità, un uomo di pace, un uomo di Dio”, esordisce Bergoglio nella prefazione anticipata da “La Repubblica”.
Egli, prosegue, “incarna esemplarmente il cuore di tutto l’agire sacerdotale: quel profondo radicamento in Dio senza il quale tutta la capacità organizzativa possibile e tutta la presunta superiorità intellettuale, tutto il denaro e il potere risultano inutili”. Egli “incarna quel costante rapporto con il Signore Gesù senza il quale non è più vero niente, tutto diventa routine, i sacerdoti quasi stipendiati, i vescovi burocrati e la Chiesa non Chiesa di Cristo, ma un prodotto nostro, una ong in fin dei conti superflua”.
Come scriveva lo stesso Benedetto nella lettera d’indizione dell’Anno sacerdotale del 16 giugno 2009 che chiude il volume, il sacerdote è colui che “incarna la presenza di Cristo, testimoniandone la presenza salvifica”.
E leggendo il libro in questione, Francesco denota chiaramente come il suo predecessore, nei 65 anni di sacerdozio – che ricorrono il prossimo 28 giugno e che verranno celebrati con una cerimonia in Vaticano che vedrà di nuovo insieme i due Papi – “abbia vissuto e viva, abbia testimoniato e testimoni esemplarmente questa essenza dell’agire sacerdotale”.
Tanto che il cardinale Gerhard Ludwig Muller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, pone Ratzinger e la sua opera “tra la schiera dei grandissimi teologi sul soglio di Pietro”, a fianco ad un santo dottore della Chiesa come Leone Magno.
Poi, c’è l’aspetto della preghiera. “Rinunciando all’esercizio attivo del ministero petrino, Benedetto XVI ha ora deciso di dedicarsi totalmente al servizio della preghiera”, scrive Papa Francesco ricordando le parole dell’ultimo “commovente” Angelus con quella chiamata del Signore a “salire sul monte”.
“Forse è proprio oggi, da Papa emerito, che egli ci impartisce nel modo più evidente una tra le sue più grandi lezioni di ‘teologia in ginocchio’”, osserva Bergoglio. “Perché è forse soprattutto dal Monastero Mater Ecclesiae, nel quale si è ritirato, che Benedetto XVI continua a testimoniare in modo ancor più luminoso il ‘fattore decisivo’, quell’intimo nucleo del ministero sacerdotale che i diaconi, i sacerdoti e i vescovi mai devono dimenticare: e cioè che il primo e più importante servizio non è la gestione degli ‘affari correnti’, ma pregare per gli altri, senza interruzione, anima e corpo”.
“Costantemente immerso in Dio”, il Papa emerito è “con il cuore sempre rivolto a lui, come un amante che ogni momento pensa all’amato, qualsiasi cosa faccia”. Con la sua testimonianza, egli “ci mostra quale è il vero pregare: non l’occupazione di alcune persone ritenute particolarmente devote e magari considerate poco adatte a risolvere problemi pratici; quel ‘fare’ che invece i più ‘attivi’ credono sia l’elemento decisivo del nostro servizio sacerdotale”.
La preghiera, insegna Ratzinger, non è un’occupazione del “tempo libero” tantomeno “una buona pratica per mettersi un po’ in pace la coscienza, o solo un mezzo devoto per ottenere da Dio quello che in un dato momento crediamo ci serva”. La preghiera – rimarca Francesco – “è il fattore decisivo”, una “intercessione di cui la Chiesa e il mondo – e tanto più in questo momento di vero e proprio cambio d’epoca – hanno bisogno più che mai, come il pane, più del pane”.
Il Papa emerito, sottolinea ancora il Papa regnante, “non dimentica che la preghiera è il primo compito del vescovo”. E così “il pregare veramente va mano nella mano con la consapevolezza che, senza la preghiera, ben presto il mondo non solo perde l’orientamento ma anche l’autentica fonte della vita”.
Pertanto, qualora un vescovo o un sacerdote, come pure un semplice fedele, “dovesse mai avere dei dubbi sul centro del proprio ministero, sul suo senso, sulla sua utilità, se dovesse mai avere dei dubbi su cosa veramente gli uomini si attendono da noi, mediti profondamente le pagine che ci vengono offerte” e le “splendide immagini” in esse disseminate, suggerisce il Santo Padre.
Perché – afferma – gli uomini “si attendono da noi che portiamo loro Gesù Cristo e che li conduciamo a Lui, all’acqua fresca e viva, della quale hanno sete più di ogni altra cosa, che solo Lui può donare e che nessun surrogato mai potrà rimpiazzare; che li conduciamo alla felicità piena e vera quando più nulla li soddisfa, che li conduciamo a realizzare quel loro più intimo sogno che nessun potere potrà mai promettergli ed esaudire!”.
Fonte: it.zenit.org