XII edizione del Festival Biblico a Vicenza, un “tour de force” affinché tutto rientri nei piani stabiliti da mesi e mesi dalla segreteria, sotto la guida sapiente di don Ampelio Crema; una timorosa richiesta, l’inaspettata gioia: posso parlare con il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, prof. Andrea Riccardi, dopo la prolusione inaugurale del Festival.
Sono stati pochi attimi, ma intensi, ricchi di dure provocazioni, per sollecitare la coscienza sociale e svegliarla dal torpore dell’indifferenza.
Quali relazioni fondamentali s’intrecciano per costruire la pace globale?
Le relazioni fondamentali della globalizzazione si svolgono su due piani interdipendenti: quello internazionale/sovranazionale e quello locale.
Ormai non si può prescindere da tale complessità, pertanto, è compito delle coscienze ben formate – per citare il Papa – intervenire sulle situazioni in questa duplice ottica.
Pensiamo al triste fenomeno dell’immigrazione: dal punto di vista dei rapporti tra Stati, si intrecciano logiche di lungo periodo, di diplomazia, di forze socio-economiche difficili da sradicare, ma da quello dei rapporti micro-sociali, si possono scomporre i grandi problemi in operazioni più vicine alla sensibilità e all’intervento civile.
Perché parlare di pace in un mondo “drogato di violenza”?
La pace è come la salute: ti rendi conto della sua importanza solo quando stai male.
Anzi, è come respirare: pur essendo un atto fondamentale per la vita, è compiuto automaticamente, senza consapevolezza.
Chi sa apprezzare veramente tale valore è colui che ha vissuto il dramma della guerra, oppure chi ha avuto la capacità di ascoltare e interiorizzare le esperienze altrui, facendone tesoro.
Solo nell’ottica della pace, cioè dell’affermazione di una giustizia che guarda alla persona e non all’ideologia, la convivenza è possibile, anzi è la naturale conseguenza.
Che cosa ha influito sull’indifferenza dei giovani per la pace?
Credo che vi sia un gap esperienziale: la generazione di mezzo, tra coloro che hanno vissuto la guerra in prima persona e i giovani d’oggi, è cresciuta in una gabbia d’opulenza, capace di trasformare la guerra in un ricordo vago e lontano.
Come accade per gli eventi passati, il mistero acquista sempre un sinistro fascino, che si acuisce tanto più è remoto il ricordo.
Allora, i giovani saranno non solo indifferenti, ma apertamente guerrafondai!
Quindi, la guerra è una condizione per conoscere il valore della pace?
Bisogna cogliere la provocazione; è vero che vi fu un forte movimento d’opinione contro la Guerra in Iraq, tanto da essere classificato dal New York Times come la seconda superpotenza dopo gli USA. L’opera, però, non è continuata, anzi, si è arenata in un atteggiamento remissivo.
Si tende sempre a modificare la percezione della realtà e ad accettare comodamente lo scorrere degli eventi.
Aspirare alla pace vuol dire aprirsi alla concretezza e alla Verità, alla solidarietà e alla cooperazione responsabile.