Inutile negarlo. Ci siamo creati il bisogno indotto di essere attivi e connessi 24 ore su 24, per 7 giorni a settimana su 365 all’anno. Sempre.
Ho letto 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno, di Jonathan Crary (Einaudi 2015), accorgendomi di quanto sia vero che oggi nelle nostre società occidentali stiamo concependo sistemi di produzione, consumo e dunque di vita senza limiti di tempo. Secondo l’autore è in corso una vera e propria erosione del tempo dedicato al sonno: difficilmente il nostro smartphone viene spento quando non lo usiamo (ci viene detto che non gli fa bene!); l’alternativa tra on e off è sostituita dalla modalità sleep a risparmio energetico. Inquietante sapere che «ogni anno vengono spesi miliardi di dollari per cercare di ridurre il tempo occupato dai processi decisionali ed eliminare del tutto il tempo inutile della riflessione e della contemplazione» (p. 44, ivi).
Certo che la dotazione di uno smartphone rende più agevole l’organizzazione delle nostre giornate. Così è quando consultiamo referti sanitari on line, o comunichiamo istantaneamente con i famigliari (ovunque si trovino), quando possiamo pagare una multa dal portale del Comune, oppure prenotare un colloquio con i docenti dei nostri figli o visionare i loro voti, a qualunque ora del giorno. Il tutto con il vantaggio di risparmiare tempo e meglio conciliare le diverse sfere della nostra vita (personale, famigliare, lavorativa, ecc.).
Ma che fine fa questo tempo risparmiato? È tempo libero «da» tante attività, ma «per» che cosa e a vantaggio di chi?
Viene dedicato al riposo e a relazioni «off line» o più facilmente reinvestito in rete per chattare, essere presenti sui social network, giocare, fare acquisti on line, scaricare files, sempre e comunque in attività che ci vedono connessi?
I nostri giovani, nativi digitali, connessi anche loro 24ore su 24 rischiano di vivere una vita parallela, in un ambiente dove vengono definiti “amici” dei semplici “contatti”, dove le esperienze reali (non virtuali) si riducono all’osso.
Ci resta tempo per guardarci negli occhi, per ascoltarci, per gustare la bellezza di panorami e spettacoli senza il filtro di tablet e smartphone, e senza l’urgenza di doverli condividere on line? Esperienze quotidiane, sui mezzi pubblici o in famiglia, ci dicono che difficilmente le nostre mani e i nostri occhi sono liberi da apparecchi vari, che ci rendono sempre connessi, ma che ci fanno perdere occasioni reali di incontro.
Una domanda continua a frullarmi in testa: abbiamo davvero e sempre bisogno di restare connessi 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 per tutto l’anno, che poi alla fine è per tutta la vita?
Chiara Tintori, www.aggiornamentisociali.it